Paolo Ceccarelli  
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DE CARLO A CATANIA: UNA LEZIONE PER I GIOVANI


Commento al libro curato da A. Leonardi e C. Cantale



Paolo Ceccarelli


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Le vicende dell'architettura sono ricche di storie serie e poco serie. Sono poco serie le storie che parlano di architettura ma in realtà servono solo a celebrare il successo imprenditoriale di architetti, in genere poco dotati ma molto abili a vendere la loro immagine sul mercato, giocando sulle momentanee mode culturali. Sono serie quelle che spiegano quanto sia complesso, lungo e difficile concepire un buon progetto, anche se di piccola dimensione, e come questo obiettivo divenga alle volte quasi impossibile da raggiungere se il progetto è importante, per nulla semplice e coinvolge interessi e decisioni di numerosi soggetti. Il libro curato da Antonino Leonardi e Claudia Cantale - La gentilezza e la rabbia. 105 lettere di Giancarlo De Carlo sul recupero del Monastero di San Nicolò l'Arena a Catania (Editoriale Agorà, 2017) - appartiene alla seconda categoria e rappresenta una boccata d'aria freschissima in una scena fatta di immagini ritoccate, architetture algide e senza esseri viventi (al massimo piante sui terrazzi), rendering banali, autocelebrazioni o celebrazioni pagate dagli immobiliaristi, basate su stupidaggini buone per i media. Per questo sono molto contento di scriverne per Città Bene Comune, in quanto è un libro da cui gli studenti e i giovani professionisti possono ricavare molti interessanti elementi di riflessione sul significato del lavoro che intendono intraprendere o hanno già avviato. Inoltre è una testimonianza importante sull' architettura italiana alla fine del secolo scorso.

Per capire le ragioni e il significato del carteggio, contestualizzato nel tempo e nei luoghi, sono opportune alcune precisazioni. Innanzitutto bisogna spiegare cos'è il cantiere del Monastero barocco di San Nicolò l'Arena a Catania, incluso tra i beni architettonici del sito UNESCO Città Tardo Barocche della Val di Noto, dichiarato Patrimonio dell'Umanità nel 2002, e chiarire il ruolo che questo enorme manufatto ha avuto nella storia della città. I Benedettini sono elemento fondamentale della struttura di Catania e della sua storia, fattore determinante dell'organizzazione fisica del centro storico. Il Monastero fondato alla fine del '500 venne distrutto a più riprese alla fine del '600 per successivi terremoti e colate di lava dall'Etna; ricostruito all'inizio del XVIII, fu oggetto di ampliamenti e integrazioni durante tutto il secolo, fino a diventare uno dei più grandi complessi monastici europei. Dopo un lungo periodo di stasi, nel 1869 il Monastero venne espropriato, dichiarato monumento nazionale e utilizzato per una varietà di funzioni pubbliche, che si susseguono ed accavallano nel tempo producendo diffuse alterazioni, degrado e la parziale distruzione di molte sue parti. Quando, alla fine degli anni 1970, l'Università ne diventa proprietaria per la sua quasi totalità, il complesso è per molti aspetti irriconoscibile. Negli anni successivi l'attenzione per il recupero dei centri storici ne fa riscoprire l'importanza e da parte dell'Ufficio tecnico dell'Università vengono avviati primi interventi di recupero, rimozione di macerie, ripristino di luoghi abbandonati. Dopo aver bandito un concorso nazionale di idee per il suo recupero che produce risultati insoddisfacenti, l'Università decide di affidare a Giancarlo De Carlo una consulenza per impostare e realizzare, utilizzando le strutture tecniche dell'Università, il recupero dell'enorme fabbrica barocca.

Il secondo chiarimento riguarda il ruolo di De Carlo nella storia recente del Monastero di S. Nicolò l'Arena: una vicenda a che inizia nel 1983 con l'incarico del Piano Guida per il recupero del Monastero e dura vent'anni, fino all'inizio del 2000, concludendosi solo parzialmente. I "Benedettini" sono l'ultima opera impegnativa di De Carlo; quella a cui, per molti aspetti e una pluralità di ragioni, è stato particolarmente legato, ma anche quella che non è riuscito a portare a termine e a usare come occasione per innescare, come sperava, altri processi di trasformazione della città. Con molto successo, nel 1989, il Piano Guida viene presentato alla città: "Un progetto per Catania. Il recupero del Monastero di San Nicola l'Arena per l'Università" il cui obiettivo, secondo De Carlo, era di "togliere piuttosto che aggiungere, ritoccare piuttosto che sostituire, stendere una rete tra le parti piuttosto che giungere a una ridefinizione dell'insieme per punti". Un progetto che prevedeva anche la costruzione di nuovi elementi, come la centrale tecnica e l'auditorium, che avrebbe dovuto fare del grande complesso universitario un luogo aperto e dinamico capace di incidere positivamente sulla struttura della città storica, favorendo nuove forme di relazione con i quartieri dell'Antico Corso e di Lumacari. De Carlo delinea una strategia progettuale capace di tenere insieme interventi di restauro filologico; ripristino di parti abbandonate, degradate, utilizzate come discariche; riapertura di collegamenti tra componenti del manufatto, in modo da consentire accessibilità e nuove forme di uso; attribuzione di antichi spazi significativi a funzioni altrettanto importanti; realizzazione di elementi nuovi ai margini - per non modificare l'impianto originario e arricchirlo però di qualità nuova - e di elementi di sicurezza e funzionamento un tempo inesistenti. L'obiettivo è trasformare un enorme manufatto di grande valore storico in qualcosa di nuovamente vivo, usato da giovani. Un luogo che contemporaneamente permetta di capire significati del passato e nuove necessità, nuove conquiste culturali. Credo sia inutile sottolineare cosa tutto questo abbia significato per una generazione di giovani catanesi: ne fanno fede le parole di Claudia Cantale nella sua introduzione. E credo sia inutile ricordare che si tratta di uno dei nodi teorici e pratici centrali del rapporto tra architettura contemporanea e contesto esistente. La consulenza prevedeva una stretta collaborazione tra De Carlo e l'ufficio tecnico dell'Università (e quindi Antonino Leonardi che ne era il responsabile) che doveva realizzare le sue decisioni.

Terzo elemento è la storia dell'amicizia che nasce tra due persone - diverse per vicende personali ed estrazione culturale -, dalla lunga esperienza di elaborazione del progetto e dalla sua realizzazione in un cantiere difficile da gestire. Il progettista, un architetto noto a livello internazionale come Giancarlo De Carlo, e il responsabile del cantiere per conto dell'Università, il bravissimo geometra catanese Antonino Leonardi, scoprono, nel fare architettura, che hanno molte cose in comune; che rispetto al loro mestiere sono altrettanto preparati e che condividono idee; che possono, su un piano di parità, fidarsi l'uno dell'altro. Dunque, una storia di arricchimento reciproco, di scelte condivise, di comuni speranze, disillusioni, successi e sconfitte che fa venire in mente i cantieri della cupola di S. Maria del Fiore a Firenze con il capomastro Brunelleschi o di una delle ville del "tagliapietra" padovano Andrea di Pietro della Gondola (detto Palladio). Scrive De Carlo: "Lavorare a Catania è un piacere perché c'è un'atmosfera particolare che ormai non riesco a trovare altrove. Si discutono le cose che si fanno e si prova prima di eseguirle, si verifica e eventualmente si cambia. Questo non esiste più e probabilmente finirà anche da voi quando le nuove leggi e i regolamenti avranno coperto ogni impulso creativo". Che storia da raccontare ai giovani! Quelli a cui si fa credere che per essere un bravo architetto occorre avere un jet privato e qualche contatto con uno sceicco del Golfo, Zuckerberg, o Besos; che non sanno bene chi realizzerà i loro progetti e non si preoccupano neppure di saperlo, dato che poi vengono messi in rete; che offrono un modesto progetto a qualche area disastrata del mondo per apparire generosi e impegnati.

Infine c'è anche una quarta e non meno importante caratteristica di natura letteraria: una cosa minore, che però è di fatto la sostanza stessa del libro. Si tratta dell'assenza, in quegli anni, di forme di comunicazione che oggi sono ovvie: tweet, whatsapp, sms, colloqui sul cellulare, e-mail, skype. Negli anni Ottanta e Novanta per chiarire problemi e raggiungere accordi bisognava ancora scriversi lettere o incontrarsi di persona. La gentilezza e la rabbia raccoglie i messaggi scritti che De Carlo invia per posta a Leonardi, con tutte le indicazioni necessarie per un cantiere lontano in cui poteva recarsi solo di tanto in tanto. Proprio perché si doveva comunicare per lettera, le cose da dire - come sanno i critici letterari - erano pesate più a lungo, calibrate per essere più facili da capire, arricchite di schizzi, corrette e modificate se occorreva.

Come accade in ogni storia di questo tipo che si rispetti, all'inizio c'è grande entusiasmo per l'intervento e attenzione per le conseguenze positive che potrebbe avere sull'intera Catania; poi, una volta che la macchina progettuale ed esecutiva si è avviata, ci sono inevitabili ritardi e cominciano ad emergere contrattempi e incomprensioni. Più passa il tempo, più le variazioni di programma aumentano, cambia l'atteggiamento della committenza e anche il progetto risente dei tempi lunghi di realizzazione. Su un arco di vent'anni queste trasformazioni sono inevitabili; cambiano le strategie dell'Università, cambiano gli interlocutori, cambia anche il programma del consulente. Nonostante le conferme di pieno supporto e apprezzamento del lavoro di De Carlo, un poco alla volta la macchina comincia ad incepparsi. Nell'estate del 1993 De Carlo scrive dalla Grecia: "Caro Leonardi, sono tempi un po' difficili ma anche molto interessanti perché sono di cambiamento. Dopo tutto il progetto dei Benedettini voleva essere cambiamento e nella situazione che si sta formando non dovrebbe trovarsi male. Io sono convinto che se staremo all'erta, che se continueremo a chiedere fiducia a chi finora ce l'ha data, può aiutarci, se non daremo pace all'inedia e moltiplicheremo le nostre iniziative e non ci stancheremo di proporle, finiremo col suscitare ottimismo e ce la faremo". Un ottimismo che dura poco tanto che alla fine dell'anno scrive: "Spero che il 1994 sia meglio del '93, che per quanto riguarda Catania (e quindi buona parte della mia vita architettonica) è stato pessimo."

Così le difficoltà nella gestione dei lavori si moltiplicano; non si dà risposta alle richieste di chiarimento e di conferma delle proposte progettuali avanzate da De Carlo. Inevitabilmente nasce la disillusione, cova la rabbia, lo scoramento prende il sopravvento. "Ho l'impressione - scrive De Carlo - che di tutte le cose dette e riportate nella mia ultima relazione non stia accadendo più niente. E questo non solo mi mette in difficoltà come autore del progetto guida e consulente per la sua attuazione, ma anche mi deprime profondamente. Mi deprime non solo perché il tempo passa e, alla fine, di tutta l'operazione Benedettini avrò fatto solo la Centrale Tecnica e qualche altra sciocchezza del resto incompiuta." De Carlo le ricorda tutte le cose bloccate, modificate, alterate. "L'elenco è lungo […]. L'ho fatto non per recriminare , perché so bene che lei non ne ha responsabilità alcuna, ma anzi soffre quanto me del fallimento (ora mi sembra di doverlo proprio riconoscere) al quale siamo approdati. […] Non mi pare serio, e tanto meno corroborante per il mio spirito, continuare a parlare e scrivere e telefonare inutilmente; fare il consulente senza essere ascoltato quando consiglio, fare il direttore lavori senza dirigere, fare il progettista o per assistere sistematicamente alla bocciatura e allo stravolgimento o alla banalizzazione dei miei progetti. Siccome abbiamo lavorato insieme intensamente e con grande piacere, almeno da parte mia, Le sarei grato se mi dicesse chiaramente quale è la Sua opinione sulle varie questioni che Le ho esposto…" (23.10.1996). Il maggior fallimento, tuttavia, sembra sia stato il non riuscire ad avere un impatto sulla città.

Cosa ci insegna questo carteggio? Che lezioni utili, per chi vuol fare l'architetto, si ricavano da una vicenda del genere (per altro ricorrente nella storia dell'architettura)?

Per prima cosa ci insegna (o ci ricorda, per chi è del mestiere) che l'architettura non si fa né sui tovagliolini di carta dei bar, né sugli schermi dei computer. Si fa lavorando in cantiere e capendo come le cose vanno fatte nella realtà; come riescono e non riescono, come molte scelte siano condizionate da decisioni altrui e sia necessario lavorare attentamente per evitare lo snaturamento dei progetti. Ci rende più consapevoli delle difficoltà intrinseche a un mestiere che realizza le sue opere spesso attraverso processi molto lunghi e spezzettati (questo in particolare in Italia) di cui inevitabilmente si perde il controllo. Questo vale soprattutto per chi opera nel settore pubblico, dove la mancanza di risorse finanziarie è spesso cronica e ci sono infinite pastoie burocratiche. In un certo senso è paradossale che proprio le opere che sono più necessarie e che possono avere un forte impatto sulla vita culturale e sociale siano quelle più a rischio.

Un'altra lezione è che ci fa capire bene quanto sia difficile lavorare su un'opera di grande valore culturale e architettonico per farla rivivere e trovarle un nuovo ruolo nel mondo contemporaneo. Il rapporto - che può essere dialogo o conflitto - con il passato non è semplice: da un lato stimola intelligenza e creatività, ma dall'altro può creare incertezze e frustrazioni se ciò su cui si lavora è di grande qualità e si impone con la sua forza. De Carlo era abituato a misurarsi con grandi opere del passato (si pensi al suo lavoro a Urbino) ma questo non gli rendeva meno arduo il compito. La cosa straordinaria è in ogni caso l'essere obbligati a misurarsi con cose intelligenti, importanti, che costringono ad andare in fondo alle cose.

Infine c'è il rispetto per i contributi dei vari collaboratori ed interlocutori. Fare architettura in modo serio è anche stare in cantiere, discutere finché si realizza il progetto, modificare sul posto, per migliorare una soluzione. Non è procedere per rendering e mappe elaborate da un centro di servizi indiano e spedite per dropbox.

Penso che in tempi in cui l'apparenza si sostituisce così spesso alla sostanza, rendendo molto superficiali i rapporti con le persone e le cose che ci circondano, queste occasioni siano ancora di estrema importanza. Fanno diventare nobile anche un piccolo lavoro, un'opera che non è un grattacielo alla moda o un grande museo. De Carlo in una delle sue ultime lettere (19 maggio 2003) capisce che il suo impegno a Catania è terminato. "Il Direttore Amministrativo - scrive - non ha risposto alla mia lettera […] nel frattempo è arrivato l'ordine di non fare i lavori previsti nel Refettorio. Leggo la coincidenza come effetto della decisione di sbarazzarsi di me […], per riconoscere che la mia esperienza catanese è conclusa. […] temo che ai Benedettini non avrò altro da fare". Ma dice a Leonardi una cosa inconsueta nel mondo del lavoro e assai geneorosa: "Spero che Le facciano finire il Coro di Notte, che è importante nell'equilibrio generale dell'edificio. E spero soprattutto che chi dirige l'Università si renda conto che non può fare a meno di una competenza come la Sua e Le conferisca un incarico per portare a vera conclusione (in realtà, inizio di una nuova fase) l'operazione dei Benedettini".

Alla fine dello stesso anno, nella sua penultima lettera (10 novembre 2003) traccia con molta lucidità e amarezza il bilancio di vent' anni di lavoro: "Ho fatto tutto il possibile per persuadere i notabili che se non c'è Lei a preoccuparsene con competenza e passione, per i Benedettini sarà un disastro. Mi sono trovato di fronte il solito muro agglutinato. Tutti riconoscono che è vero e sostengono che bisogna fare qualcosa, che un modo deve ben esserci per risolvere un così grave problema, che ne parleranno e sottolineeranno e invocheranno, ecc. ecc. Ma in realtà nulla succede e quando richiedo tutti hanno l'aria di non ricordare bene cosa ci eravamo detti e bisogna ripetere, e ricomincia la pantomima. […] Io spesso mi domando se il gruppo dei Benedettini avrebbe potuto essere formato oggi e lavorare allo scoperto una operazione che per audacia, lungimiranza e qualità credo sia unica in Italia. Del resto dopo vent'anni di lavoro ci hanno fatto fuori uno a uno […] Siccome tra qualche giorno Lei entrerà ufficialmente nel limbo della pensione […] vorrei dirle del mio grande piacere di aver lavorato con Lei per molti anni, con emozione creativa. Credo che abbiamo compiuto un'operazione di rilievo, e siccome sono ottimista, penso che sarà riconosciuta, all'estero prima che in Italia, nel Paese prima che a Catania; dove d'altra parte è probabile che da qualche tempo i gufi che ci hanno fatto fuori ci celebreranno per dimostrare che è merito loro se i Benedettini sono diventati una meraviglia laica piena di vitalità e energia di giovani. Dal punto di vista personale io vorrei incoraggiarla a lasciarsi riempire di rabbia (Brecht faceva dire a Galileo che la rabbia fa bene, anzi è necessaria) e di continuare a dedicarsi alla sua competenza architettonica e ai suoi pensieri. […] Perciò si arrabbi il più possibile ma solo per rafforzare la Sua energia. Un abbraccio".

De Carlo, ormai ammalato, muore nel 2005. Tre anni dopo, secondo il consolidato rituale (previsto da De Carlo) di lodare la incompleta realizzazione di una rilevante opera che si è ostacolato e sabotato in tutti i modi, la Regione Sicilia dichiara di "importante interesse artistico" il suo progetto. Antonino Leonardi scompare poco dopo aver completato, con Claudia Cantale, questo libro. La vicenda narrata in La gentilezza e la rabbia è per tanti aspetti un esempio paradigmatico di quanto ripetutamente avviene nel nostro paese: occasioni per grandi scelte, mobilitazione di risorse intellettuali adeguate, elaborazione di progetti originali e, subito dopo, modifica degli obiettivi iniziali, sforamento dei tempi previsti, incertezze nei finanziamenti, condizione di stallo… poi, per secoli, nulla di nuovo.

Paolo Ceccarelli

 

 

 

N.d.C. - Paolo Ceccarelli, professore emerito di Urbanistica, è titolare della cattedra UNESCO in Pianificazione urbana e regionale per lo sviluppo locale sostenibile del Dipartimento di Architettura dell'Università di Ferrara. È coordinatore della Mediterranean UNESCO Chairs Network, MUNCH e del gruppo delle cattedre UNESCO Italiane "Assetto del territorio, Sostenibilità urbana, Turismo" TEST. Sta lavorando in Africa, Cina, Giappone e India al progetto Post-Western/Non-Western di revisione critica delle teorie e tecniche occidentali di pianificazione urbana. È stato membro del Comitato ordinatore prima e poi preside (fino al 2001) della neonata Facoltà di Architettura dopo essere stato rettore dell'Università IUAV di Venezia dal 1982 al 1991. Ha insegnato Urbanistica al Politecnico di Milano (1979-1981). Inoltre, è presidente dell'ILAUD, International Laboratory of Architecture and Urban Design, coordinatore della Red Alvar che riunisce facoltà di Architettura dell'America Latina ed europee, direttore del Centro Ricerche Urbane, Territoriali, Ambientali, CRUTA, dell'Università di Ferrara. Ha coordinato il Dottorato di Economia Regionale dell'Università di Ferrara ed è stato più volte visiting professor al Massachussets Institute of Technology e all'Università di California, Berkeley e Santa Cruz; ha svolto attività di ricerca presso il CES della Harvard University e il Joint Center for Urban Studies Harvard University e MIT. Ha insegnato alla Waseda University di Tokyo, in numerose Università europee e ha tenuto lezioni e seminari in università latinoamericane, africane, asiatiche e australiane.

Tra i suoi libri: con Miro Allione e Bernardo Secchi, I piani intercomunali. 1, Pianificazione economica e pianificazione urbanistica (ILSES, 1962); con Giancarlo De Carlo e Elio Tarulli, Studio dell'assetto e dei caratteri della proprietà fondiaria pubblica e privata nell'area milanese. Note metodologiche per il rilevamento dei caratteri patrimoniali e urbanistici delle aree (ILSES, 1963); (a cura di) con Bruno Gabrielli e Renato Rozzi, Traffico urbano: che fare? Problemi e soluzioni nell'esperienza degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Francia e dell'Italia (Marsilio, 1968); (a cura di), La costruzione della città sovietica 1929-31 (Marsilio, 1970); (a cura di), con Francesco Indovina, Risanamento e speculazione nei centri storici (FrancoAngeli, 1974); (a cura di), Ideologia e tecnica dell'organizzazione razionale del territorio (FrancoAngeli, 1975); La crisi del governo urbano. Istituzioni, strutture economiche e processi politici nelle città del capitalismo maturo (Marsilio, 1978); con Techeste Ahderom, Addis Ababa Master plan project. Project final report, Addis Ababa (Fosweco - IUAV, 1986); I collegi universitari (ETAS, 1987); (a cura di), con Carlo Monti e il Servizio riqualificazione urbana della regione Emilia-Romagna, Riqualificazione urbana in Emilia-Romagna. Esperienze e linee di azione futura (Alinea, 2003); con Gastone Ave e Federico Bervejillo, La rivitalizzazione della città vecchia e centro di Montevideo. Studio di prefattibilità (IILA, 2003); con Emanuela De Menna, La ciudad histórica como oportunidad. Recuperación urbana y nuevos modelos de desarrollo en América Latina, (Instituto italo-latino americano, 2006); con Emanuela De Menna, Conservacion del patrimonio. Orientaciones de las Escuelas de Arquitectura en America Latina (Alinea, 2006); con Gastone Ave, La pianificazione strategica partecipata in Italia, a cura di Giuseppe Gioioso (Formez, 2006); con Etra Occhialini, Jericho Master Plan. A Model for Sustainable Development (Cooperazione Italiana per lo Sviluppo, 2014); Yesterday-Tomorrow. 50 years of urban conservation and innovation in Italy (China Architecture and Building Press, 2015); con Ada Becchi, Cristina Bianchetti, Francesco Indovina, La città del XXI secolo. Ragionando con Bernardo Secchi (FrancoAngeli 2015); con Giulio Verdini (a cura di), Creative Small Settlements. Culture-based solutions for local sustainable development (XJTLU, 2016); Global and Local Challenges in Non-Western Heritage Conservation, Guest editor, special issue of "Built Heritage", Vol. n° 3, September 2017.

Per Città Bene Comune ha scritto: Rappresentare per conoscere e governare (2 febbraio 2018).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

02 NOVEMBRE 2018

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

A. Cagnato, Il paesaggio e la convenzione disattesa, prima parte del commento a: A. Calcagno Maniglio (a cura di), Per un Paesaggio di qualità (FrancoAngeli 2015)

P. Gabellini, Un nuovo lessico per un nuovo ordine urbano, commento a: F. Indovina, Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli, 2017)

E. M. Tacchi, Anche quelli interni sono migranti, commento a: M. Colucci, S. Gallo (a cura di), Fare Spazio (Donzelli, 2016)

A. Calcagno Maniglio, Esistono gli specialisti del paesaggio?, commento a: S. Settis, Architettura e democrazia (Einaudi, 2017)

R. Balzani, Suolo bene comune? Lo sia anche il linguaggio, commento a: M. Casa, P. Pileri, Il suolo sopra tutto (Altreconomia, 2017)

A. Clementi, Un nuovo paesaggio urbano open scale, commento a: C. Ratti, La città di domani (con M. Claudel, Einaudi, 2017)

L. Meneghetti, Stare con Settis ricordando Cederna, replica alla posizione di Marco Romano e Francesco Ventura

C. Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili e la cerbiatta di Cuarón, commento a: C. Olmo, Città e democrazia (Donzelli, 2018)

F. Ventura, Sapere tecnico e etica della polis, commento a: S. Settis, Architettura e democrazia (Einaudi, 2017)

P. Pileri, L'urbanistica deve parlare a tutti, commento a: Anna Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Indovina, Non tutte le colpe sono dell'urbanistica, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Balbo, Disordine? Il problema è la disuguaglianza, commento a: F. Indovina, Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli, 2017)

R. Milani, Viaggiare, guardare, capire città e paesaggi, commento a: C. de Seta, L'arte del viaggio (Rizzoli, 2016)

F. Gastaldi, Un governo del territorio per il Veneto?, commento a: M. Savino, Governare il territorio in Veneto (Cleup, 2017)

G. Nuvolati, Tecnologia (e politica) per migliorare il mondo, commento a: C. Ratti, La città di domani (con M. Claudel, Einaudi, 2017)

F. Mancuso, Città come memoria contro la barbarie, commento a: A. Zevi, Monumenti per difetto (Donzelli, 2014)

M. Morandi, Per una Venezia di nuovo vissuta, commento a: F. Mancuso, Venezia è una città (Corte del Fontego, 2016)

R. Pavia, Leggere le connessioni per capire il pianeta, commento a: P. Khanna, Connectography (Fazi, 2016)

G. Consonni, In Italia c'è una questione urbanistica?, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Romano, Memoria e bellezza sotto i cieli d'Europa, commento a: S. Settis, Cieli d'Europa (Utet, 2017)

V. Biondi, La nuova crisi urbana negli USA, commento a: R. Florida, The New Urban Crisis (Basic Books, 2017)

P. Colarossi, Per un ritorno al disegno della città, commento a: R. Cassetti, La città compatta (Gangemi, 2012, rist. 2015)

A. Clementi, In cerca di innovazione smart, commento a: C. Morandi, A. Rolando, S. Di Vita, From Smart Cities to Smart Region (Springer, 2016)

P. Pucci, La giustizia si fa (anche) con i trasporti, commento a: K. Martens, Transport Justice. Designing fair transportation systems, (Routledge, 2017)

E. Trusiani, Ritrovare Mogadiscio, commento a: N. Hagi Scikei, Exploring the old stone town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing, 2017)

A. Villani, Post-metropoli: quale governo?, commento a: A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci, Oltre la metropoli (Guerini, 2017)

R. Cuda, Le magnifiche sorti del trasporto su gomma, commento a: M. Ponti, Sola andata (Egea 2017)

F. Oliva, Città e urbanistica tra storia e futuro, commento a: C. de Seta, La civiltà architettonica in Italia dal 1945 a oggi (Longanesi, 2017) e La città, da Babilonia alla smart city (Rizzoli, 2017)

J. Gardella, Attenzione al clima e alla qualità dei paesaggi, commento a: M. Bovati, Il clima come fondamento del progetto (Marinotti, 2017)

R. Bedosti, A cosa serve oggi pianificare, commento a: I. Agostini, Consumo di luogo (Pendragon, 2017)

M. Aprile, Disegno, progetto e anima dei luoghi, commento a: A. Torricelli, Quadri per Milano (LetteraVentidue, 2017)

A. Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro, commento a: G. Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017)

P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo

G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)

P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)

R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)

L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)

M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)

W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)

A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)

R. Riboldazzi, Che cos'è Città Bene Comune. Ambiti, potenzialità e limiti di un'attività culturale

 

 

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