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UDITE, UDITE: GLI ALBERI SALVANO LE CITTÀ!
Commento al libro di Francis Hallé
Paolo Pileri
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Ci vuole un albero per salvare la città di Francis Hallé (Ponte alle Grazie, 2018) si legge in un pomeriggio. E questo è un punto di valore accanto alle due qualità più evidenti del libro: il linguaggio e i destinatari cui si rivolge.
Partiamo dalla seconda qualità, i destinatari. I politici e gli amministratori pubblici sono coloro a cui Hallé vuole parlare. Lo fa con ruvidità e anche con punte di livore non mascherato, ma sempre animato da passione e autenticità (doti da apprezzare, non denigrare). In buona sostanza, da un lato l'autore spiega bene cos'è un albero e perché questo dovrebbe essere protagonista indiscusso delle città (e di conseguenza delle politiche pubbliche urbane), dall'altro spiega altrettanto bene perché spessissimo politici e amministratori pubblici dimostrano di non sapere bene cosa siano gli alberi e di non comprendere il loro ruolo nelle città, dando luogo a situazioni per molti versi disastrose. Il verde urbano, infatti, è sempre più in fondo alle agende pubbliche e a farne le spese sono proprio gli alberi sui cui si abbatte non solo l'ascia di un taglio indiscriminato ma anche la scure dell'ignoranza che, guarda caso, va a braccetto con un marketing urbano straccione fatto di assunti sbagliati e non dimostrati (albero = arredo urbano), di luoghi comuni e di tanta speculazione politica ed edilizia. Sindaci, assessori e governatori usano il verde, nel bene e nel male, non per una qualche progettualità di lungo periodo fondata su una visione culturale e su basi scientifiche, ma per mettere in fila microazioni che possano portare a loro qualche beneficio elettorale o almeno non pregiudichino le loro possibili riconferme politiche. Ma così facendo gli alberi nelle città non aumentano e la nostra vita urbana peggiora a vista d'occhio.
Una seconda qualità del libro, dicevamo nell'incipit, è quella del linguaggio. Hallé non usa perifrasi o inutili diplomazie lessicali per spiegare come stanno le cose. È diretto, piano, tagliente nel rivolgersi a politici e amministratori. Ma non è ingenuo. Sa che nonostante il suo sforzo di scrivere un librino facile facile per tentare un'ultima possibilità di salvezza per il verde urbano, per ribaltare le prospettive, i suoi interlocutori probabilmente gireranno la testa altrove: "Ingenuamente - scrive - spero che lo leggeranno e ancora più ingenuamente spero che gli sia utile". Eppure, da buon ricercatore, non getta la spugna della speranza a terra visto che questo lavoro nasce con il chiaro intento di essere, come specificato nel sottotitolo, Un manifesto per i politici e gli amministratori pubblici. E nasce sotto la "pressione delle circostanze e su invito di diversi amici che non sopportano più di vedere maltrattati o distrutti, senza alcuna ragione, gli alberi" in città. Per giocare quest'ultima carta, l'autore non poteva che ricorrere a un linguaggio chiaro, accessibile a chiunque, depurato da ogni ricciolo accademico. Questo, tuttavia, senza rinunciare a rigore e scientificità che, peraltro, fanno risaltare il fatto che una politica senza conoscenze - quella che pare poter fare a meno della scienza - rischia di 'schiantarsi'. Proprio come un albero che cade al suolo a causa di una motosega o, come sempre più frequentemente avviene, di fenomeni meteorologici sempre più estremi davanti ai quali occorre cambiare di netto le nostre politiche e non lamentarsi della natura cattiva (che in parte abbiamo generato noi). Nella prefazione del libro Francesco Ferrini - professore ordinario di arboricoltura dell'Università degli Studi di Firenze - ci ricorda che Francis Hallé è un grande botanico ("il più grande" come scritto nel risvolto di copertina) al quale deve andare la nostra gratitudine anche e proprio per aver scelto di parlare di alberi rinunciando a un linguaggio tecnico come, invece, moltissimi suoi colleghi hanno fatto prima di lui, facendosi capire meno. Si tratta di uno dei tratti più significativi del libro, non di un suo difetto, come magari una certa accademia ama dire proteggendo se stessa e un certo inutile gusto per l'incomprensibilità.
L'albero è naturalmente il protagonista di questo saggio e tante sono le cose che impariamo, a partire dal fatto - e mi piace molto - che l'albero è presentato come un essere vivente a tutti gli effetti. Non meno degli animali che, per luogo comune, riteniamo i soli esseri viventi a condividere con noi lo spazio urbano. Non è l'immobilità dell'albero a renderlo meno 'vivente'. Esso ha una raffinata capacità di abitare lo spazio, adattarsi al clima, reagire ai venti, comunicare e persino difendersi dai predatori (bellissima la storia dell'antilope e dell'acacia). Siamo noi, piuttosto, con potature selvagge e inutili, trapianti scriteriati, sciatteria al posto di cure botaniche periodiche, smantellamento dei servizi civici del verde urbano (una volta il fiore all'occhiello delle città), appalti di manutenzione urbana affidati a ditte incompetenti sul verde, sostanziale ignoranza della politica su cos'è un albero e quali i suoi benefici effetti sui contesti urbani... a rendere qualcosa di 'morente' gli alberi. Hallé, in poco più di cento pagine, ci getta un salvagente dove troviamo innumerevoli spunti tecnici, scientifici e di buon senso che ci aiutano anche ad aprire gli occhi su quanto neppur più riconosciamo come problematico: dai sostegni arborei all'uso o meno delle piante 'pronto effetto'; dalla reale capacità di depurare l'aria degli alberi a come, eventualmente, tagliarne le radici per fare uno scavo.
Tuttavia, se questo libro è principalmente rivolto a politici e amministratori - che, tra le altre cose, sono invitati dall'autore a non trattare i loro elettori come idioti o ignoranti - , ad Hallé non sfugge che al loro fianco ci sono gli urbanisti. Questi - a nostro avviso - farebbero bene a ricordare il vecchio precetto di Le Corbusier - l'albero è "uno strumento prezioso nelle mani dell'urbanista" - sovvertendo il loro approccio al progetto di città. Progetto che dovrebbe prendere le mosse proprio dal verde, dagli alberi, dagli spazi aperti, lasciando che il resto, l'edificato - sempre che sia ancora necessario e non possa essere sostituito da un più deciso recupero dell'esistente - si adatti di conseguenza, come una mano in un guanto.
Per concludere, chapeau a Francis Hallé! per questa coraggiosa operazione editoriale con la quale non solo conduce una battaglia a favore degli alberi in città ma, di fatto, riabilita anche il ruolo dell'intellettuale indipendente, poco incline a cercare compromessi prima delle soluzioni, coraggioso nell'esprimersi, appassionato della sua materia, lineare nello spiegare come stanno veramente le cose, amante del bene comune, oratore per tutti. In una parola: libero. Di una libertà che forse qui da noi verrebbe più o meno esplicitamente ignorata condannando all'oblio colui che se ne fa portatore. Ecco perché la lezione di Hallé è ancor più preziosa, oggi che viviamo in un'epoca confusa e prigioniera di un individualismo che inquina l'aria e di un'idea servile verso il potere. Un'idea accarezzata spesso anche dal mondo professionale e perfino da quello accademico, ovvero da quegli intellettuali che, prima di altri, - grazie alla libertà, anche economica, garantita loro dallo Stato - dovrebbero essere i primi portatori di un pensiero critico indipendente, veritiero, costi quel che costi. È questo l'unico intellettuale che serve alla politica. E la politica non ne abbia paura, please.
Paolo Pileri
N.d.C. - Paolo Pileri, professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, è tra gli ideatori e animatori del progetto Vento: proposta di dorsale cicloturistica tra Venezia e Torino considerata parte integrante del sistema nazionale della ciclabilità turistica. Cura la rubrica Piano Terra della rivista "Altreconomia".
Tra i suoi libri: Interpretare l'ambiente (Alinea, 2002); Compensazione ecologica preventiva (Carocci, 2007); con E. Granata, Amor loci: suolo, ambiente, cultura civile (Cortina, 2012); con A. Giacomel e D. Giudici, Vento: la rivoluzione leggera a colpi di pedale e paesaggio (Corraini, 2015); con Matilde Casa, Il suolo sopra tutto. Cercasi "terreno comune": dialogo tra un sindaco e un urbanista (Altreconomia, 2017): Che cosa c'è sotto: il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo (Altreconomia, 2015 e 2016); 100 parole per salvare il suolo (Altreconomia, 2018).
Per Città Bene Comune ha scritto: Laudato si': una sfida (anche) per l'urbanistica (2 dicembre 2015); Se la bellezza delle città ci interpella (10 febbraio 2017); La finanza etica fa bene anche alle città (3 novembre 2017); L'urbanistica deve parlare a tutti (21 settembre 2018).
Sui libri di Paolo Pileri, v.: Bernardo De Bernardinis, Per una nuova cultura del suolo (28 ottobre 2016); Roberto Balzani, Suolo bene comune? Lo sia anche il linguaggio (12 ottobre 2018).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 09 NOVEMBRE 2018 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
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A. Cagnato, Il paesaggio e la convenzione disattesa, prima parte del commento a: A. Calcagno Maniglio (a cura di), Per un Paesaggio di qualità (FrancoAngeli 2015)
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