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DELL'ORDINE E DEL DISORDINE URBANO
Commento al libro di Francesco Indovina
Oriol Nel·lo
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Nella sua Teoría General de la Urbanización (1867), Ildefons Cerdà narra degli effetti che ebbe in gioventù lo scoprire le potenzialità dei mezzi di trasporto meccanici. "Confrontando il passato con il presente - scrive Cerdà - capii che l'applicazione del motore come forza motrice segnava per l'umanità la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra e che, in quel momento, ci trovavamo in un vero periodo di transizione". Un periodo nel quale si sarebbero confrontati il vecchio ordine e quello nascente. La durata di questa lotta tra passato e presente sarebbe stata più o meno lunga, ma ad ogni modo si sarebbe risolta nelle città, che sarebbero state "il campo di battaglia di questo scontro titanico per la conquista del mondo".
Dell'ordine e del disordine nella città tratta specificatamente l'ultimo libro di Francesco Indovina - Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli, 2017) - uno dei più fecondi e importanti studiosi italiani dei fenomeni urbani contemporanei. Il quesito da cui parte Indovina non può essere più significativo: perché - si chiede - nonostante i ripetuti tentativi di attribuire alle città un ordine, queste finiscono sempre per presentare un livello più o meno elevato di disordine? Perché - potremmo aggiungere - l'artefatto più sofisticato e complesso che la società ha realizzato per preservarsi dalle inclemenze della natura ha finito per essere percepito come una fonte di trasformazioni e inquietudini imprevedibili?
Per rispondere a questa domanda, Indovina focalizza gran parte della sua analisi sull'urbanistica, la disciplina alla quale la collettività è ricorsa nei secoli per inquadrare le istanze private in un progetto e un disegno comune nella costruzione della città. Per questo, afferma l'Autore, l'urbanistica è caratterizzata da una forte vocazione a imporre un ordine: definisce - mediante norme e piani - ciò che è possibile e desiderabile fare nella città, e pertanto si occupa di stabilire un ordine per il presente e prefigurarne uno per il futuro. Tale ordine non è, in nessun modo, puramente formale ma, piuttosto, riguarda anche l'organizzazione sociale, la vita economica, il potere politico e, al tempo stesso, la cultura e i riti che configurano ed esprimono il sentire collettivo. Per questo, in qualsiasi periodo storico, l'ordine urbanistico è strettamente interrelato all'ordine economico e sociale predominante.
Il punto centrale del ragionamento dell'Autore risiede nell'affermazione secondo cui questo ordine nella città (e nella società) non è (né può essere) mai perfetto. In primo luogo le innovazioni tecnologiche scientifiche aprono nuove possibilità e provocano alterazioni dell'ordine costituito. È altresì vero, come ricordava Cerdà, che i poteri stabili possono resistere al cambiamento, ma le basi materiali che determinano le alterazioni dell'ordine esistente, una volta scoperte rimangono a disposizione degli agenti sociali che desiderino farne uso per governare le trasformazioni urbane. Dall'altra parte i diversi gruppi sociali presenti nella città sono portatori di interessi spesso contraddittori e, perciò, quelli che si trovano in una situazione subalterna si devono occupare di modificare un ordine che non li favorisce: solo sovvertendolo riusciranno a prosperare e migliorare la propria sorte. E ancora, davanti a queste spinte al cambiamento, che inevitabilmente condurranno al disordine, coloro che risultano favoriti dall'ordine esistente tenteranno di mantenerlo per consolidare i propri interessi e privilegi. Dalla presenza di uno o dell'altro fattore - il cambiamento tecnologico e le contraddizioni sociali - emerge una costante lotta, mediante la quale, in forma sotterranea o manifesta, si decide il mantenimento o l'alterazione dell'ordine esistente. Per questa ragione, afferma Indovina, nella città "'Ordine' e 'disordine' si oppongono in una specie di lotta senza quartiere, ma pur opponendosi sono elementi dinamici l'uno dell'altro, si sostengono vicendevolmente, non si contrappongono".
Uno dei principali valori di questo accostamento dialettico consiste, a nostro parere, nel privare di connotazioni morali le nozioni di 'ordine' e 'disordine'. Al contrario, l'imposizione di uno o dell'altro stato risulta, in qualsiasi circostanza storica, strumentale all'affermazione di determinati interessi sociali. Dunque, l'imposizione di un ordine urbano mediante la pratica urbanistica può tradursi, in certe circostanze, nella volontà di favorire solo pochi: i proprietari fondiari, i promotori immobiliari, i gruppi sociali più agiati. In questo modo, l'ordine urbanistico si trasforma in uno strumento per il mantenimento dei privilegi di coloro che detengono il potere economico e politico nella città. Tuttavia, l'imposizione di un ordine urbanistico può rispondere anche a un intento di limitare questi privilegi e affermare i diritti dell'insieme della comunità: il diritto alla casa, allo spazio pubblico, ai servizi urbani. In questo caso, l'assetto urbanistico arriva a limitare gli interessi dei privati a beneficio della collettività. Si potrebbe anche concepire un ordine urbanistico il cui principale obiettivo sia quello di contribuire a sradicare i privilegi sociali nella città e raggiungere una significativa equità sociale.
Se, come possiamo vedere, la nozione di ordine può avere connotazioni sociali diverse a seconda delle circostanze storiche e degli interessi che difende, la nozione di disordine di certo non veicola significati meno complessi. Da un lato, il disordine può essere il risultato della lotta di coloro che tengono meno a migliorare la propria situazione. Può essere, esso stesso, la conseguenza dell'introduzione di innovazioni tecniche che alterino le condizioni di vita e le forme di produzione di beni e di servizi. Ma il disordine può essere anche la conseguenza dell'azione di agenti privati, privilegiati o meno, per eludere e colpire i limiti che la collettività ha imposto loro. L'appropriazione dei beni comuni, la corruzione e molteplici forme di abusivismo urbanistico sono chiare espressioni di questo tipo di disordine.
Sono queste le ragioni che portano Indovina ad affermare che in qualsiasi società dinamica ordine e disordine devono convivere inevitabilmente e permanentemente nella città. In questo contesto, la città costruita costituisce al tempo stesso un punto di partenza ineludibile e un limite da superare. Nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte Marx ricordava che la tradizione delle generazioni morte opprime spesso come un incubo il cervello dei vivi. Nella città, il peso del passato non risiede semplicemente nella tradizione ma anche nelle forme costruite: il tracciato delle strade, lo spazio pubblico, i giardini, i monumenti e i simboli che sono eredità di ordini e disordini passati. Pertanto, le forme urbane esistenti costituiscono certamente un dato di fatto con il quale le attuali generazioni devono necessariamente fare i conti. Al tempo stesso, dette forme costituiscono un limite rispetto al quale ogni generazione (e ogni urbanista con propositi di trasformazione) non può in alcun modo sottrarsi. Emilio Sereni ha affermato qualcosa di molto simile nella sua riflessione sulla trasformazione del paesaggio.
Questa volontà di trasformazione contiene, inevitabilmente, la prefigurazione di un nuovo ordine: tutti i processi di cambiamento, inizialmente sovversivi, tendono alla normalizzazione, alla istituzionalizzazione. Tuttavia, questo ordine, una volta stabilito, sarà messo in discussione da nuovi elementi di disordine che lo modificheranno e sovvertiranno fino a che sia raggiunta una nuova situazione di apparente stabilità, o di apparente ordine, e così via. Pertanto, afferma Indovina, "l'ordine urbano ha finito sempre per rappresentare un'aspirazione e mai una realizzazione". Si potrebbe dunque dire che la sua tesi ha una certa parentela con la teoria del doppio movimento enunciata da Karl Polanyi in relazione all'evoluzione delle società contemporanee: quella permanente alternanza storica che opporrebbe, da una parte, l'innovazione e il cambiamento e, dall'altra, la norma e la coerenza.
Indovina sviluppa il suo saggio, come impongono i canoni della dialettica, in tre capitoli. Dedica il primo alla volontà di ordine urbanistico e alle sue concretizzazioni nel corso della storia della città contemporanea: da Ebenezer Howard e Le Corbusier all'urbanistica riformista italiana della fine del secolo scorso. Il secondo capitolo, invece, si concentra sul disordine urbano, le sue cause e le sue conseguenze sulla funzionalità e l'equità della città. L'epilogo costituisce invece la rivendicazione di una diversa urbanistica: ovvero quella che, senza rinunciare all'aspirazione di raggiungere forme di ordine urbano più giuste, efficienti e sostenibili, è consapevole dell'impossibilità (e dell'inopportunità) di cancellare i conflitti. Il superamento della contrapposizione tra ordine e disordine si deve dunque raggiungere, per Indovina, non con una chimerica imposizione assoluta di uno stato sull'altro, bensì mediante un costante governo delle trasformazioni economiche, sociali e urbane.
Oltre a ciò, il volume include due florilegi di testi classici che si riferiscono ai temi trattati. Il primo contiene una trentina di citazioni sull'ordine urbanistico tratte dall'opera di altrettanti grandi urbanisti. Il secondo è formato da una decina di testi letterari e saggi sul disordine urbano tratti dall'opera di altrettanti scrittori ed esperti. Entrambe le selezioni offrono una panoramica particolarmente suggestiva che delizierà il lettore. La scarsa presenza di donne tra gli autori dell'antologia deve essere senza dubbio vista come una conferma della predominanza negli ultimi secoli di un ordine - in questo caso la visione maschile della città - e della necessità del disordine destinato a trasformarla.
Per concludere, Ordine e disordine nella città contemporanea è un'opera straordinariamente interessante tanto nella sua concezione teorica quanto nella sua realizzazione pratica. La sua lettura non solo è raccomandabile per studenti e docenti, ma anche utile per tutte le persone che desiderino comprendere e contribuire alla trasformazione della città contemporanea.
Oriol Nel·lo
N.d.C. Oriol Nel·lo, geografo specializzato in studi urbani e territoriali, insegna all'Universitat Autònoma de Barcelona (Departament de Geografia). Ha diretto l'Istituto di Studi Metropolitani di Barcellona, è stato deputato del Parlamento della Catalogna e responsabile della pianificazione territoriale del Governo della Catalogna.
Tra i suoi ultimi libri: Ordenar el territorio. La experiencia de Barcelona y Cataluña (Tirant lo Blanch, 2012); con Francesco Indovina, Del análisis del territorio al gobierno de la ciudad (Icaria, 2012); con Gugliermo Trupiano (a cura di), Province e territorio. Riforme amministrative e pianificazione di area vasta in Italia e Spagna (Edizioni Scientifiche Italiane, 2013); con Josefina Gómez Mendoza e Rubén Lois (a cura di), Repensar el Estado. Crisis económica, conflictos territoriales e identidades políticas en España (Universidade de Santiago, 2013); La ciudad en movimiento. Crisis social y respuesta ciudadana (Díaz & Pons, 2015; ed. it. Edicampus, 2016); con Renata Mele (a cura di), Cities in the 21st Century (Routledge, 2016); con Joan López, Jordi Martín i Joan Checa, (a cura di), La luz de la ciudad. El proceso de urbanización en España a partir de las imágenes nocturnas de la Tierra; con Ismael Blanco (a cura di), Barrios y crisis. Crisis económica, segregación urbana e innovación social en Cataluña (Tirant lo Blanch, 2018).
Sul libro oggetto di questo commento, v. anche: Marcello Balbo, Disordine? Il problema è la disuguaglianza (7 settembre 2018); Patrizia Gabellini, Un nuovo lessico per un nuovo ordine urbano (26 ottobre 2018).
Traduzione dallo spagnolo di Anna Di Ciolo per Language Password s.a.s.
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 07 DICEMBRE 2018 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
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