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LA RICEZIONE È UN GIOCO DI SPECCHI
Commento all'ultimo libro sull'opera di Bernardo Secchi
Cristina Bianchetti
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Accolgo volentieri la richiesta di un breve commento al libro Bernardo Secchi. Libri e piani, a cura di Cristina Renzoni e Maria Chiara Tosi (Officina edizioni, 2017). All'atto della costruzione di questo libro non ho potuto partecipare e, nonostante la generosità delle curatrici nel lasciare uno spazio aperto, non ho partecipato neppure in fase di chiusura. Proverò ora a scriverne brevemente, ma non in modo organico e compatto, nella forma di una recensione che ha i suoi passaggi obbligati e i suoi rituali. Piuttosto per punti discontinui, mettendo in evidenza qualche suggestione tra le molte suscitate dai 31 saggi critici e dai numerosi disegni raccolti in quasi 280 pagine. Riconosco che è un modo fazioso di parlare di libri, diretto e senza troppi riguardi. Di usarli, leggendoli. E mi piace ricordare come sia stato anche il modo, fazioso e diretto, che ha costruito molte discussioni con Bernardo, in diversi anni, condotte a partire da cose lette. Con buon, reciproco, divertimento.
Questo libro, tra gli altri dedicati a Bernardo Secchi
Nella forma dell'omaggio, ma in modo non del tutto rituale, il libro curato da Renzoni e Tosi raccoglie, come ho detto, numerosi contributi. Non è un formato inusuale, ma neppure può dirsi rituale per diversi motivi. È ben rappresentato il gruppo di allievi e collaboratori, ma la familiarità non esaurisce il gruppo degli interlocutori qui raccolto. Traspare un forte impianto pedagogico, senza tuttavia la pretesa di costruire una sorta di ritratto completo: numerose e argomentate le omissioni. Altri libri hanno messo in primo piano il lavoro e il pensiero di Secchi con un intento ricostruttivo più marcato: ne hanno raccolto gli scritti editi e inediti; hanno ricostruito regesti e biografie; hanno proseguito la conversazione con lui; hanno raccolto i contributi delle giornate a lui dedicate in diverse sedi universitarie. Questo è un omaggio anomalo dunque che si sofferma sul fare (libri e piani), entro una coralità aperta di voci. È la messa a confronto di letture critiche. Ma anche, forse inevitabilmente per molti, un memoir personale che, come nella migliore tradizione di questo genere, ha la pretesa di ricostruire l'autenticità attraverso l'emozione.
Un gioco di specchi
Sarebbe un errore voler trarre da queste letture impressioni d'assieme sul pensiero di Secchi. Molti dettagli sì, ricostruzioni di storie interne alle singole vicende, note ai protagonisti, con particolari utili, interessanti, perfino divertenti. Ma, come ho detto, non un ritratto. Anche raccontando le storie di questi sei testi e di questi sei piani, il libro parla della ricezione di Bernardo, più che di Bernardo e, naturalmente, questa non è cosa di poco conto. Per questo non è del tutto affidabile trarne indicazioni su uno sviluppo nel tempo, incastrando indizi precedenti e conseguenti: farne connettivo per tracciare un profilo critico. Dal piano di Jesi si traggono questi concetti. Da Siena questi altri. Questi da Il racconto urbanistico che segna una fase straordinaria di passaggio. Questi altri da Prima lezione di urbanistica, a mio giudizio il suo libro più bello, dove la prima lezione è quel tremito che racconta Pierre Bourdieu alla sua "prima" al College de France, nel marzo 1982: un esporsi ed essere giudicato. Sarebbe un errore ricomporre un profilo netto e privo di ambiguità e non è solo la diffidenza per il genere biografico che ho sempre avuto, come sanno i miei a-mici, a dettarmi questa convinzione. Una diffidenza non diminuita dal gioco plurimo delle voci. La ricezione è un gioco di specchi. Il libro racconta come il pensiero di Bernardo Secchi sia stato capito, condiviso, usato, e lo sia ancora, da urbanisti, storici, geografi, economisti. Libero, ognuno di prenderne parti e pezzetti. Senza che sia più possibile un diniego, una dissuasione, una maledizione, un rilancio.
Un'eco insistente
Nel libro risuonano continuamente le parole di Secchi. È come se fosse troppo difficile parlare del suo lavoro senza utilizzarne i termini. Parole che rimbalzano continuamente. Cosa determina questo rimbombo? Sicuramente la fortuna di alcune sue espressioni, largamente diffuse e riprese. Ma anche l'ossessione che egli aveva per il linguaggio. Che si estendeva come un'onda. Fino a far ragionare i suoi allievi negli anni Ottanta, su una piccola provocazione di Wittgenstein: gli animali non sperano! (in Ricerche filosofiche, nell'edizione Einaudi del 1974). Ovvero la struttura temporale della speranza implica il linguaggio. Osservazione (non troppo) inessenziale e laterale al lavoro seminale di Wittgenstein sul linguaggio che, in una certa fase, era difficile non aver letto, in onore alle consuetudini accademiche. Linguaggio e speranza. Ineludibile il richiamo ossessivo all'altro faticoso libro di Bloch. Richiamo che lasciava in ombra ambiguità e rigidità del filosofo marxista de-voto alla DDR. Erano anni in cui si poteva aderire con uguale slancio a Benjamin e Bloch insieme, senza porsi troppi problemi. È rimasto l'interesse quasi religioso per le parole. Non è poco.
Temperie culturali
Ancora una volta, sfogliando questo libro colpisce la quantità di percorsi, orientamenti, aperture nel lavoro di Bernardo Secchi. Una pluralità percepita ora da uno sguardo retrospettivo con più chiarezza e lucidità di quanto non fosse possibile fare in passato. Come una sfida. Colpisce l'insistenza, quasi un impegno civile, nella ricostruzione di un pensiero attorno all'urbanistica moderna e al suo ruolo sociale: indagandone la dimensione simbolica, non solo pratica e politica. Negli anni Ottanta, il periodo che io ricordo meglio (difficile sottrarsi al memoir!) lo sforzo di ricostruzione del campo dell'urbanistica ha portato a esplorare i confini di un programma comparativista, ad usare, ripetutamente, la nozione di aria di famiglia, allora molto diffusa (al punto di aver perso le tracce, tra i più, della sua iniziale proposizione). Senza sapere esattamente cosa fosse quell'aria di famiglia. Ma con l'ostinazione di partire da qualche parte, far ricerca empirica su alcuni fatti e poi magari ricostruirne la grammatica, coglierne le differenze. Wittgenstein (ancora) e Chomsky negli stessi anni in cui Secchi ragiona sulla costruzione logica delle narrazioni. Se ci fosse mai stata (dubito che oggi sia anche solo possibile concepire che ci possa essere) una storia della critica urbanistica e delle sue forme, sarebbe bello fosse stata messa a lavorare su questa fertile girandola. Potrebbe dirci qualcosa del modo in cui le discipline attraversano le temperie culturali.
Bernardo Secchi
"Bernardo - scrive Carlo Olmo in questo libro - è un personaggio, un intellettuale architetto che vive molto dentro un contesto culturale allargato, quello che oggi si rischia di non poter più praticare, perché esistono delle retoriche della specializzazione, delle retoriche addirittura della frammenta-zione scientifica e disciplinare che rendono questo passaggio, questa facilità di passaggio, questa capacità di intercettare temi che sono al centro di una discussione più allargata, estremamente complicata". Verrebbe da aggiungere che a rendere asfittico il contesto culturale non sono solo le retoriche della frammentazione e della specializzazione, è un diverso strutturarsi del campo dell'urbanistica, delle sue forze, del suo capitale simbolico, del suo riscontro sociale. Uno strutturarsi per reti corte, piccole cerchie che sul piano accademico, professionale, editoriale cercano di garantire la propria riproduzione. Come sempre fanno le cerchie accademiche. Ma ora più che mai, su tempi brevi, praticando ritmi frenetici. Ciò che questo libro ricorda, attraverso le voci di molti (e l'eco delle parole di Secchi) è una stagione diversa in cui diverso era anche il modo di intendere le circolarità accademiche, professionali ed editoriali. Senza rimpianti, come ho avuto modo di scrivere ormai molto tempo fa. Senza atteggiamenti luttuosi o di perdita. Ma con l'idea che le cose (per giocare ancora con le parole di Bernardo e la loro ossessiva eco) siano davvero cambiate.
Cristina Bianchetti
N.d.C. - Cristina Bianchetti, professore ordinario di urbanistica al Politecnico di Torino, è stata coordinatore dell'area dell'Architettura per la VQR (2011-2014) ed è presidente del Nucleo di Valutazione dell'Università Iuav di Venezia.
Tra le sue pubblicazioni: Abitare la città contemporanea (Skira, 2003); Urbanistica e sfera pubblica (Donzelli, 2008); Il Novecento è davvero finito. Considerazioni sull'urbanistica (Donzelli, 2011); (a cura di) Territori della condivisione. Una nuova città (Quodlibet, 2014); Spazi che contano. Il progetto urbanistico in epoca neo-liberale (Donzelli, 2016).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 06 OTTOBRE 2017 |
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A. Calafati, Neo.Liberali tra società e comunità, commento a G. Becattini, La coscienza dei luoghi (Donzelli, 2015)
M. Ponti, Non-marxista su un dialogo tra marxisti, commento a G. Becattini, La coscienza dei luoghi (Donzelli, 2015)
G. Semi, Tante case non fanno una città, commento a E. Garda, M.Magosio, C. Mele, C. Ostorero, Valigie di cartone e case di cemento (Celid, 2015)
M. Aprile, Paesaggio: dal vincolo alla cura condivisa, commento a G. Ferrara, L'architettura del paesaggio italiano (Marsilio, 2017)
S. Tedesco, La messa in forma dell'immaginario, commento a A.Torricelli, Palermo interpretata (Lettera Ventidue, 2016)
G. Ottolini, Vittorio Ugo e il discorso dell'architettura, commento a A. Belvedere, Quando costruiamo case, parliamo, scriviamo. Vittorio Ugo architetto (Officina Edizioni, 2015)
F. Ventura, Antifragilità (e pianificazione) in discussione, commento a I. Blečić, A. Cecchini, Verso una pianificazione antifragile (FrancoAngeli, 2016)
G. Imbesi, Viaggio interno (e intorno) all'urbanistica, commento a R. Cassetti, La città compatta (Gangemi 2016)
D. Demetrio, Una letteratura per la cura del mondo, commento a S. Iovino, Ecologia letteraria (Ed. Ambiente, 2017)
M. Salvati, Il mistero della bellezza delle città, commento a M. Romano, Le belle città (Utet, 2016)
P. C. Palermo, Vanishing. Alla ricerca del progetto perduto, commento a C. Bianchetti, Spazi che contano (Donzelli, 2016)
F. Indovina, Pianificazione "antifragile": problema aperto, commento a I. Blečić, A. Cecchini, Verso una pianificazione antifragile (FrancoAngeli, 2016)
F. Gastaldi, Urbanistica per distretti in crisi, commento a A. Lanzani, C. Merlini, F. Zanfi (a cura di), Riciclare distretti industriali (Aracne, 2016)
G. Pasqui, Come parlare di urbanistica oggi, commento a B. Bonfantini, Dentro l'urbanistica (Franco Angeli, 2017)
G. Nebbia, Per un'economia circolare (e sovversiva?), commento a E. Bompan, I. N. Brambilla, Che cosa è l'economia circolare (Edizioni Ambiente, 2016)
E. Scandurra, La strada che parla, commento a L. Decandia, L. Lutzoni, La strada che parla (FrancoAngeli, 2016)
V. De Lucia, Crisi dell'urbanistica, crisi di civiltà, commento a G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2016)
P. Barbieri, La forma della città, tra urbs e civitas, commento a A. Clementi, Forme imminenti (LISt, 2016)
M. Bricocoli, Spazi buoni da pensare, commento a: C. Bianchetti, Spazi che contano (Donzelli, 2016)
S. Tagliagambe, Senso del limite e indisciplina creativa, commento a: I. Blečić, A. Cecchini, Verso una pianificazione antifragile (FrancoAngeli, 2016)
J. Gardella, Disegno urbano: la lezione di Agostino Renna, commento a: R. Capozzi, P. Nunziante, C. Orfeo (a cura di), Agostino Renna. La forma della città (Clean, 2016)
G. Tagliaventi, Il marchio di fabbrica delle città italiane, commento a: F. Isman, Andare per le città ideali (il Mulino, 2016)
L. Colombo, Passato, presente e futuro dei centri storici, commento a: D. Cutolo, S. Pace (a cura di), La scoperta della città antica (Quodlibet, 2016)
F. Mancuso, Il diritto alla bellezza, riflessione a partire dai contributi di A. Villani e L. Meneghetti
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