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CITTÀ E PAESAGGI: TRAIETTORIE PER IL FUTURO
Commento all'ultimo libro di Salvatore Settis
Giampaolo Nuvolati
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Le nostre città sono oggi attraversate da profondi mutamenti spesso di difficile lettura. Sulla natura dei mali delle aree urbane e rurali del nostro Paese e sui rispettivi paesaggi oggi assistiamo ad una sostanziale convergenza, mentre è sul fronte delle risoluzioni ai problemi che sembra mancare una discussione capace di individuare strategie di intervento mirate e condivise. In queste pagine viene ripresa e articolata per punti la recensione pubblicata su "Polis" (anno XXXI, n. 2, 2017, pp. 293-296) all'ultimo libro di Salvatore Settis. In calce si fanno inoltre alcuni cenni a possibili future ricerche su questi argomenti.
La criticità del paesaggio urbano
Il bel libro di Salvatore Settis Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili (Einaudi, 2017) descrive criticamente, con dovizia di particolari e attraverso interessanti tagli analitici, il mutamento architettonico, urbanistico e sociale del nostro Paese. La profondità storica si incrocia con l'analisi urbanistica, l'osservazione sociologica si combina con la descrizione delle dinamiche economiche ed istituzionali. Ne esce un quadro sintetico dei principali fenomeni che hanno contraddistinto il mutamento del paesaggio in Italia e più in generale nelle aree più urbanizzate del mondo. I temi affrontati sono quelli classici oggi "contesi" da discipline quali la sociologia urbana, la geografia e più in generale da quelle scienze sociali che più hanno a cuore lo studio del territorio. Il volume - sintesi delle lezioni tenute da Settis all'Università della Svizzera italiana - si compone di cinque capitoli: uno dedicato alla attenzione che le Costituzioni di vari Paesi (in particolare Germania, Spagna e Italia) riservano al tema del paesaggio; uno riguardante il rapporto tra l'uomo e la natura; uno successivo concernente i confini materiali e simbolici che oggi divino gli spazi tra e internamente alle città e ai territori circostanti, un quarto sull'equilibrio tra città e campagna e, infine, un ultimo sulla responsabilità dell'architettura. Il filo conduttore che lega i capitoli, definito fin dall'inizio, risulta assai chiaro e si rifà ad una disattesa deontologia professionale di architetti e urbanisti, oggi troppo attenti agli aspetti estetici del costruire e assai meno a quelli etici. Lo sprawl incontrastato, il grattacielismo, la gentrificazione e la polarizzazione sociale, la omologazione dei luoghi, se non l'emergere dei "non luoghi", l'insostenibilità ambientale, la speculazione edilizia, il neo-liberismo: sono questi secondo Settis (ma ovviamente non è il solo a pensarla così) i principali problemi che oggi incidono fortemente sulla configurazione di un paesaggio spaesante, distorto, incapace di restituire identità personale e senso di appartenenza ai territori soprattutto per i gruppi più deboli della popolazione. Le risposte a queste preoccupazioni fanno soprattutto riferimento alle forme di resistenza nei confronti dei processi di standardizzazione degli skylines, riguardano inoltre una concezione della architettura che risponde ai bisogni della collettività piuttosto che agli interessi e ai desideri dei singoli. Il concetto lefebvriano di diritto alla città funge da cucitura di tutto il testo laddove evoca la necessità di ripensare alla città come contesto del dibattito collettivo e della riappropriazione degli spazi da parte degli esclusi. Le visoni della città come polis (luogo di governo), civitas (espressione della collettività che la abita) e dunque non solo come urbs (forma fisica) si intersecano ininterrottamente nelle pagine del testo. Prendiamo l'ultimo capoverso di Settis (pag. 161-162): "[ ] sfidare i confini difficili tra città e paesaggio, decostruire i feticci di un neomodernismo corrivo (la megalopoli e il grattacielo) vuol dire tentare il recupero della dimensione sociale e comunitaria della cittadinanza. In un paesaggio, anche urbano, inteso come teatro della democrazia, la forte responsabilità dell'architetto potrà contribuire al pieno esercizio dei diritti civili. Diritto alla città, diritto alla natura, diritto alla cultura meritano questa scommessa sul nostro futuro". In queste parole sta tutto il messaggio di un autore che non si nasconde dietro ad una semplice descrizione della realtà ma prende posizione, in alcuni passaggi, anche con toni engagé. Il che non guasta anche se rischia di far prevalere ora un approccio un po' troppo nostalgico ora un wishful thinking che negano la peculiarità dei tempi attuali, la irriducibilità dei conflitti urbani. Del resto una città pacificata, non contraddittoria, capace di coltivare le proprie virtù paesaggistiche, sociali ed economiche a vantaggio di tutti è difficile da immaginare ma forse nemmeno auspicabile. Le visioni utopistiche di Fourier volte alla costruzione di città basate sulla completa armonizzazione dei desideri e delle necessità di ogni cittadino sfociano nella realizzazione di falansteri dall'aspetto molto inquietante.
Le città a complessità crescente in seguito al moltiplicarsi di popolazioni residenti e non residenti
Le città contemporanee sono impegnate in uno sforzo mai visto prima di accogliere popolazioni, si tratta di popolazioni diverse non tanto in quanto autoctone o alloctone, ma in quanto spesso fatte di residenti e non residenti, di abitanti, di pendolari, city users, turisti che vivono, lavorano, si spostano e consumano in città. Il livello di complessità della città - soprattutto in termini di scala di azione e governo: dal quartiere all'area metropolitana - la straordinaria diffusione delle tecnologie con il loro portato di disembedding, la rapida obsolescenza dei legami comunitari chiamano in causa modalità di progettazione e organizzazione delle risorse e dei servizi disponibili assai più sofisticate che non in passato. E qui sta una prima critica che oso muovere all'autore il quale forse volge troppo lo sguardo al passato, alle città armoniose della storia antica, ma non si confronta con i nuovi paradigmi emergenti. Come l'angelus novus benjaminiamo, spinti dal vento del progresso, non possiamo fissare troppo la nostra attenzione sulle macerie ma dobbiamo guardare avanti pur non dimenticandoci della storia pregressa. E allora, se tutte le istanze sollevate da Settis sono molto bene illustrate e risultano assolutamente condivisibili rispetto agli orizzonti valoriali proposti, è forse sul piano delle soluzioni concrete, delle strategie attuabili che il testo sembra reticente. Faccio un esempio: l'autore critica sia lo sprawl (la crescita in orizzontale) che il grattacielismo (la crescita in verticale) delle metropoli, ma le città continuano a vedere un aumento incontenibile della popolazione e in un senso o nell'altro devono pur crescere. Si pensi alla idea della città compatta, ad alta densità residenziale, demonizzata da alcuni ma celebrata da altri come unica possibilità di ridurre le forme di inquinamento generate dalla elevata mobilità tipica della città diffusa. Dunque in che direzione andare per porre rimedio alla concentrazione di popolazione urbana? Lo stesso vale per il tema delle periferie: oggi unanimemente considerate il luogo della marginalità e del disagio. Ma al di là di una certa retorica, come agire per migliorale? Lavoreremo di ruspa o di rammendo (per citare il progetto di Renzo Piano)?
Le traiettorie percorribili per affrontare i problemi urbani
Molte delle problematiche che oggi rendono complicata la qualità della vita nelle città non stanno trovando soluzione né a livello di mero mercato né in termini di politiche pubbliche ma richiamano pratiche e forme di innovazione sociale terze (penso soprattutto alla sharing economy, alle comunità virtuali ibride, alle social streets) fino a qualche tempo fa impensabili. Anche un concetto come smart city, seppur ancora vago, costituisce comunque un tema interessante e nuovo rispetto al quale è possibile coniugare il discorso della partecipazione con quello delle funzionalità urbane in chiave tecnologica. Nonostante la piena cognizione che le regole del mercato, del capitalismo più avanzato stanno determinando un aumento delle disuguaglianze socio-spaziali e il degrado del paesaggio, non possiamo non riconoscere la presenza di opportunità che connotano le città contemporanee e lasciano intravedere margini di azione per il superamento delle difficoltà che oggi le comunità stesse si trovano ad affrontare. Opportunità che si rapportano a traiettorie inedite, disancorate dal passato e fortemente legate a processi inediti di globalizzazione dai quali è oggi davvero difficile prescindere e con i quali occorre negoziare, venire a patti.
Quando si parla del futuro delle nostre città sono spesso gli scenari distopici a prevalere, ma occorre altresì ricordare che le città per loro natura costituiscono corpi che si ammalano ma sono anche in grado di rigenerarsi. Quello di cui oggi necessitano i progettisti è la possibilità di consultare inventari di best practices, di esempi positivi nella risoluzione attuale dei problemi per come sono stati concretamente sfidati nelle aree urbane del mondo. Forse tali pratiche virtuose non saranno facilmente esportabili da un Paese all'altro ma potranno comunque costituire un repertorio da sfogliare per affrontare questioni inedite e urgenti al tempo stesso. Nel testo di Settis oltre a numerosi riferimenti alla qualità e alla bellezza delle città antiche, troviamo anche diversi accenni al tema della partecipazione dal basso come lezioni e strumenti per migliorare la democrazia e la vivibilità nelle città contemporanee (tema già affrontato dall'autore in un altro volume dal titolo Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Einaudi, 2014) ma forse manca uno slancio più ottimistico verso le capacità di resilienza al neomodernismo conformista oggetto delle sue critiche. Una resilienza che si affida a pratiche di innovazione sociale che vanno di volta in volta progettate, testate e valutate avendo come riferimento la cultura e i territori locali.
L'Italia
Un accenno al caso italiano per concludere. Il paesaggio urbano e naturale del nostro Paese è come noto tra i più belli del mondo. Lo è anche per merito del modo in cui storicamente sono state concepite le città. Innumerevoli sono pertanto i richiami dell'autore alla tradizione civica italiana, all'equilibro straordinario tra città e campagna, natura e cultura che ha fatto la fortuna dell'Italia nei secoli passati. A queste considerazioni si aggiungono però nuovamente le critiche feroci a quello che è stato il più recente sviluppo urbanistico nel nostro paese, fino all'immagine del grattacielo che avrebbe dovuto essere costruito a Mestre e dal quale sarebbe stato possibile dominare con lo sguardo Venezia e la sua laguna: un progetto (il Palais Lumière) del 2012 non ancora realizzato ma che ben sintetizza il provocante snaturamento e la spettacolarizzazione degli spazi contemporanei del tutto dissonanti rispetto alla storia e alle proporzioni dei luoghi e dei manufatti. Nel valutare come il nostro Paese sia cambiato Settis ancora una volta esprime - giustamente - sentimenti di indignazione, ma la pars destruens è scarsamente corredata da una pars construens all'interno della quale identificare e proporre nuove forme e arene di progettualità. Come spesso accade trovare le cause dei problemi è assai più facile che non darne soluzione. Forse è proprio questa consapevolezza che fa dichiarare a Settis di non essere architetto e dunque a giustificare una sua certa riluttanza nel proporre soluzioni precise e alternative rispetto allo stato attuale dei fatti.
Il contributo di un intellettuale importante come Salvatore Settis alla analisi delle trasformazioni urbane e all'emergere dei problemi sociali che ne derivano resta oggi fondamentale e ancor più potrà esserlo se orientato a formare nuove generazioni di architetti e studiosi responsabili, sensibili alla pregnanza dei beni pubblici, al lato morale del loro agire professionale - ma soprattutto capaci, attraverso la loro creatività, di migliorare la qualità della vita urbana e non, utilizzando metodologie e tecniche ancora tutte da sperimentare ma nelle quali occorre confidare. Il percorso distintivo di Settis, cioè di attualizzazione degli insegnamenti della storia, troverà forma compiuta se ai principi e ai valori tramandati si accosteranno precipitati realizzativi intesi a confrontarsi direttamente con la complessità del contemporaneo.
Ambiti di ricerca
Alla luce di quanto rilevato in merito all'opera di Settis e ai temi che solleva sembra qui opportuno individuare alcuni campi di approfondimento propri delle scienze sociali. Il primo riguarda la psicologia dell'ambiente relativamente all'analisi dei percorsi di percezione, identità e attaccamento ai luoghi. È di fatto cruciale non solo descrivere in chiave oggettiva i mutamenti dei paesaggi ma anche indagare in profondità la percezione soggettiva che gli individui hanno dei mutamenti stessi. Di fatto, le varie forme di adattamento ai contesti sono spesso l'esito di scarse aspettative e conoscenze e possono a loro volta costituire il principale motivo della mancata mobilitazione. E qui si innesta il secondo filone di studi cui vorrei far riferimento e cioè la sociologia urbana e rurale intesa come disciplina capace di incrociare le caratteristiche dell'ambiente con quella delle popolazioni che lo abitano (per classe, età, istruzione, etnia, ma anche per capitale sociale, stili di vita, etc.). Mettere a confronto la Storia di una comunità o di una città, con le micro storie dei loro cittadini apre ad una riflessione capace di entrare meglio nel merito delle contraddizioni sociali ed urbanistiche che caratterizzano il Paese, sia dal punto di vista dell'affermazione delle culture dominanti nei vari contesti e delle azioni di resilienza ad esse, che della distribuzione delle responsabilità tra gli attori politici, i tecnici e i cittadini stessi.
Giampaolo Nuvolati
N.d.C. - Giampaolo Nuvolati, professore ordinario di Sociologia dell'ambiente e del territorio dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, dal 2015 dirige il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale.
Tra i suoi libri: La qualità della vita delle città. Metodi e risultati delle ricerche comparative, (FrancoAngeli, Milano 1998); Popolazioni in movimento, città in trasformazione. Abitanti, pendolari, city users, uomini d'affari e flaneurs (il Mulino, Bologna 2002); Piccola antologia di paesaggi urbani (Vicolo del pavone, Piacenza 2003); Lo sguardo vagabondo. Il flaneur e la città da Baudelaire ai postmoderni (il Mulino, Bologna 2006); Mobilità quotidiana e complessità urbana (Firenze University Press, Firenze 2007); L'interpretazione dei luoghi. Flanerie come esperienza di vita (Firenze University Press, Firenze 2013); Un caffè tra amici, un whiskey con lo sconosciuto. La funzione dei bar nella metropoli contemporanea (Moretti & Vitali, Bergamo 2016).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 08 DICEMBRE 2017 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
in redazione: Elena Bertani Oriana Codispoti
cittabenecomune@casadellacultura.it
powered by: Istituto Naz. di Urbanistica
Le conferenze
2017: Salvatore Settis locandina/presentazione
Gli incontri
2013: programma/present. 2014: programma/present. 2015: programma/present. 2016: programma/present. 2017: programma/present.
Gli autoritratti
2017: Edoardo Salzano
Le letture
2015: online/pubblicazione 2016: online/pubblicazione 2017:
G. Beltrame, Governo metropolitano: una questione aperta, commento a: Vittorio Biondi(a cura di), Milano metropoli possibile (Marsilio 2016)
F. Ventura, Così non si tutela né il suolo né il paesaggio, commento a: A. Marson (a cura di, La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)
C. Bertelli, Le città e il valore identitario della bellezza, commento a: M. Romano, Le belle città (Utet, 2016)
F. Indovina, Una vita da urbanista, tra cultura e politica, commento a: Memory cache (Clean, 2016)
J. Gardella, Architettura e urbanistica per fare comunità, commento a: Il Villaggio Ina-Casa di Cesate (Mimesis, 2016)
P. Bassetti, La città è morta? Il futuro oltre la metropoli, commento a: A. Balducci, V. Fedeli e F. Curci (a cura di), Oltre la metropoli (Guerini, 2017)
A. Villani, Pianificazione antifragile, una teoria fragile, commento a: I. Blečić, A. Cecchini, Verso una pianificazione antifragile (FrancoAngeli, 2016)
B. Petrella, I limiti della memoria tra critica e comportamenti, commento a: A. Belli, Memory cache (Clean, 2016)
P. Pileri, La finanza etica fa bene anche alle città, commento a: A. Baranes, U. Biggeri, A. Tracanzan, C. Vago, Non con i miei soldi! (Altreconomia, 2016)
A. L. Palazzo, La forma dei luoghi nell'età dell'incertezza, commento a: R. Cassetti, La città compatta (Gangemi, 2016)
D. Patassini, Lo spazio urbano tra creatività e conoscenza, commento a: A. Cusinato, A. Philippopoulos-Mihalopoulos (a cura di), Knowledge-creating Milieus in Europe (Springer-Verlag, 2016)
F. Bottini, La città è progressista, il suburbio no, commento a: R. Cuda, D. Di Simine, A. Di Stefano, Anatomia di una grande opera (Ambiente, 2015)
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M. A. Crippa, Uno scatto di "coscienza storica" per le città, commento a: G. Pertot, R. Ramella (a cura di), Milano 1946 (Silvana, 2016)
R. Gini, Progettare il paesaggio periurbano di Milano, recensione di V. Gregotti et al., Parco Agricolo Milano Sud (Maggioli, 2015)
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