NON C’È SOLO GORINO

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Milano, ieri martedì 1 novembre, ci ha regalato una giornata particolare: una folla festosa che si è riunita davanti alla caserma Montello, in via Caracciolo, per salutare l’arrivo di un gruppo di profughi.

Non era scontato che accadesse. Anche qui nelle settimane precedenti vi erano stati segnali inquietanti e minacciosi: un presidio contro il preannunciato arrivo dei profughi, una capillare raccolta di firme per impedirlo (ne sono state raccolte non poche: oltre sei mila), tante dichiarazioni bellicose di esponenti delle forze della destra, dalla Lega a Casa Pound.

La cosa importante è che questa volta in tanti hanno reagito, con intelligenza e con passione. Numerose associazioni del quartiere hanno cominciato a incontrarsi per valutare che cosa fare, hanno formato un Comitato con molte e larghe adesioni, hanno avviato un lavoro capillare di sensibilizzazione e di preparazione nella zona 8 di Milano dove è collocata la caserma Montello. Hanno anche deciso di dare un segno forte all’opinione pubblica: una festa di accoglienza.

Il risultato è stato perfino sorprendente: migliaia di persone si sono radunate davanti alla caserma e hanno dato vita, con attori e musicisti, a un happening festoso dalla mattina fino al tardi pomeriggio.

Ovviamente, tutti i presenti erano consapevoli dei mille e mille problemi che si presenteranno nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Eppure tutti i presenti, nel primo freddo pungente del novembre milanese, erano raggianti. Per una ragione molto semplice: stavano dimostrando che, se si vuole, in Italia in campo non c’è solo la destra facinorosa e xenofoba. Con passione e intelligenza si può fare sentire, anche sulla questione spinosa e difficilissima dell’immigrazione, un’altra voce. Insomma, nelle cronache italiane non c’è posto solo per il brutto e inquietante episodio di Gorino!

IN APERTURA DELLA SERATA “A SETTANT’ANNI DAL DISCORSO CON CUI FERRUCCIO PARRI INAUGURA LA CASA DELLA CULTURA”

16 marzo 2016

Ringraziamento a tutti coloro che hanno accettato l’invito. Al sindaco Giuliano Pisapia innanzitutto, che più volte ha sceso queste scale in questi anni, fin dai giorni della sua campagna elettorale: ci fa piacere che sia qui anche oggi, per il ricordo e il festeggiamento del nostro Settantesimo. Vediamo qui anche tanti altri amici: Giuseppe Sala, che ci ha chiesto di impegnarci nelle prossime settimane nella discussione sul futuro della città, Elena Lattuada, segretaria regionale della CGIL, Massimo Bonini, segretario della Camera del Lavoro, Filippo Del Corno, assessore alla Cultura, Sandro Antoniazzi, presidente della Fondazione San Carlo, Roberto Cenati, presidente dell’Anpi e tanti altri: a tutti un grazie di cuore. Abbiamo anche ricevuto tanti messaggi: lasciatemene ricordare almeno uno, quello particolarmente caldo e affettuoso del presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia.

Abbiamo preso sul serio questa ricorrenza: abbiamo promosso nelle scorse settimane tante iniziative (sulla “scuola di Milano”, il ciclo sull’illuminismo), altre sono in programma: verso fine maggio si svolgerà l’incontro su “Le donne e la Casa della Cultura”. Abbiamo scritto anche un libro (La porta rossa) per una storia ragionata di questi Settant’anni, dei rapporti della Casa della Cultura con la cultura italiana ed europea.
Perché tanto impegno? Per due buone ragioni
La prima: settant’anni sono tanti. Sono tantissimi per un circolo culturale. Nato nella stagione della Resistenza (nella clandestinità! Con l’incontro di Curiel, Vittorini e Banfi), ha attraversato tutta le turbolenti stagioni politiche e culturali della nostra vita repubblicana. Pensate quanti circoli culturali hanno chiuso i battenti in questi decenni: la Casa della Cultura continua la sua vita. Segno che le radici erano ben solide e che si è riusciti a farvi circolare linfa vitale.
Le seconda ragione: raggiungiamo i settant’anni, ma siamo in forma! In questo lungo periodo di tempo vi sono stati alti e bassi (probabilmente inesorabili). Ma dalle fasi di incertezza e involuzione la Casa della Cultura è sempre riuscita a risalire, proprio come un’Araba Fenice. Come dopo l’ultimo serio “intoppo” quando, per un improvviso cedimento strutturale, due anni e mezzo fa crollò il soffitto della sala. Fu un momento drammatico: vi fu il rischio concreto di chiusura. L’abbiamo affrontato e risolto di slancio: con un appello alla città per aiutarci a reagire e risorgere. La risposta dei cittadini è stata splendida: abbiamo trovato rapidamente le risorse, riparato il danno durante i mesi estivi, senza neppure una significativa interruzione della programmazione: segno di un legame profondo con la città e della volontà di Milano di continuare ad avere la “sua” Casa della Cultura.
Oggi (nel Settantesimo) possiamo presentare un biglietto da visita fatto di fervore di iniziative, di una robusta rete di collaborazioni tra gli intellettuali progressisti e di un rapporto vivo con i cittadini milanesi e con l’opinione pubblica della città.
Stiamo esplorando nuovi campi di iniziativa: le nuove frontiere della scienza e della tecnica (siamo un centro di cultura umanistica, ma oggi è impensabile una cultura umanistica che non si misuri con gli sviluppi dirompenti della scienza e della tecnologia); le arti espressive e quelle performative: pochi mesi fa abbiamo proposto “filosofie del cinema”, con una risposta sbalorditiva, che ha messo a dura prova le nostre strutture organizzative; abbiamo rilanciato la discussione sull’urbanistica e sull’architettura. Stiamo affrontando alcuni nodi del dibattito economico che sono sottovalutati o svalutati nel mainstream culturale, a iniziare da quello sui “beni comuni”.
Così pure stiamo cercando e sperimentando strade nuove anche per rinnovare la nostra proposta in campi consolidati, tradizionalissimi, come la filosofia, la storia, la psicanalisi, la poesia e la letteratura, sempre con lo sguardo aperto sull’Europa e sul mondo, per verificare se e come è possibile ricostruire un “canone”, trovare criteri interpretativi con cui orientarsi nella disordinata e caotica produzione culturale contemporanea.
Sulla questione, che continuiamo a considerare decisiva, della “cultura politica”, dopo lunga e attenta riflessione, abbiamo dato vita a una vera e propria “scuola di cultura politica”: 220 iscritti anche quest’anno, 1.200 in sei anni, un’operazione culturale che si sta trasformando in una nuova istituzione della vita culturale cittadina.
Il tutto accompagnato da uno sforzo continuo per confrontarsi attivamente con i cambiamenti della produzione culturale e della comunicazione e per usare al meglio le nuove tecnologie: abbiamo potenziato e trasformato il sito, ci siamo insediati nei social e abbiamo deciso di trasmettere tutto ( o quasi ) in streaming.
Soprattutto cerchiamo di ripensare e rinnovare i rapporti con i giovani, con i giovani studiosi (sentiamo l’urgenza di favorire l’emersione di una nuova generazione di studiosi!), con il pubblico dei giovani. Ed è stata per noi una bella e imprevista soddisfazione scoprire, grazie agli algoritmi di facebook, che abbiamo il picco di consenso tra le giovani donne dai 24 ai 34 anni!

Per presentare questo progetto abbiamo fatto ricorso a due immagini: “ritorno al futuro”, ovvero recupero dei motivi ispiratori della “prima casa della cultura”, quella originaria, di via Filodrammatici, quando poté sprigionarsi il progetto originario di Banfi e Vittorini. Con l’obiettivo, abbiamo aggiunto, – ecco la seconda immagine – di proporre “un’enciclopedia critica della contemporaneità”, dove penso sia evidente a tutti l’intento di fare vivere e mettere alla prova quell’ispirazione illuminista che ha lasciato un’impronta così profonda in questa istituzione.
Ma qual è il filo conduttore di tutto questo lavoro?
La ricerca continua di un equilibrio tra la coerenza con le radici, con i nostri valori di fondo e le esigenze di innovazione; detto altrimenti: l’equilibrio tra “resistenza” e progetto.
Il tema della coerenza, della “Resistenza”, torna con insistenza come motivazione profonda di chi anima questa comunità di ricerca: resistenza alla spettacolarizzazione, alla banalizzazione e impoverimento del dibattito pubblico, al prevalere delle suggestioni e delle semplificazioni, resistenza al pensiero unico e all’omologazione culturale. Per fare vivere, invece, lo scavo in profondità, la riflessività, il gusto dell’approfondimento, il pensiero critico.
Ma anche, ecco l’altro polo della questione, esplorazione a tutto campo dei tumultuosi cambiamenti in corso, confronto con e immersione nell’innovazione, ricerca delle nuove sorgenti della creatività culturale, curiosità verso le diversità, esplorazione delle possibilità che si possono intravedere.
Questa tensione tra l’ancoraggio ai princìpi e l’immersione nel nuovo è il vero e più profondo filo conduttore della nostra ricerca: un legame tenace e orgoglioso ai nostri valori, ma nel contempo il coraggio, l’apertura, la ricerca e la costruzione dell’innovazione.
Per questo abbiamo scelto la “Porta rossa” come simbolo di questa nostra istituzione e abbiamo intitolato “La signora in rossa” il docufilm per rendere omaggio a questi Settant’anni di storia: un messaggio simbolico semplice, chiaro, evidente.
Ma nel contempo lavoriamo tenacemente per rinnovare la nostra proposta culturale, per relazionarci con le aree vive e pulsanti dell’innovazione culturale – in Milano e non solo in Milano – , per ripensare in continuazione il nostro sistema di comunicazione, fino alla nostra ultimissima scelta: una rivista, un magazine, “viaBorgogna3” – appena uscito, da due giorni!, sul nostro sito – per usare le immense potenzialità della Rete per fare durare nel tempo e far vivere anche fuori da questa sala, anche lontano da Milano, quanto si discute e si elabora qui dentro.
Insomma – e concludo per cedere la parola a Giuliano Pisapia – in questo nostro Settantesimo possiamo dire che questa Casa della Cultura ha un bel passato di cui siamo orgogliosi, ma proprio per questo cerchiamo con tutte le nostre forze di fare in modo che possa avere anche un futuro che abbia la stessa dignità e lo stesso prestigio del suo passato.

NUOVE IDEE E NUOVE SCELTE

Con questo fine settimana comincia la seconda parte della nostra “Scuola di cultura politica”. Dopo aver scavato sulle trasformazioni dello scenario mondiale cerchiamo ora di mettere a fuoco idee e proposte nuove da far vivere nella realtà del nostro paese.

Nei prossimi quattro moduli della scuola, distribuiti in quattro week end, affronteremo quattro nodi: la democrazia, l’equità, lo sviluppo e il civismo. Ognuno di questi verrà scavato problematicamente da varie angolature. Ragioneremo sulla crisi nella democrazia, sul valore dell’equità e sulle forze potenti che la contrastano, sull’urgenza dello sviluppo e sui mille ostacoli che vi si frappongono, sul fascino di un rinnovato civismo.

Ogni incontro è introdotto dalla lezione di uno o due tra gli studiosi italiani più qualificati. Per dare a tutti i corsisti la possibilità di comprendere e approfondire la questione focalizzata, per rendere possibile un approccio critico, per mettere a disposizione qualche idea e qualche proposta nuova di cui tutti avvertiamo l’importanza e l’urgenza.

Per seguire le lezioni e partecipare alle discussioni ci si può iscrivere “in blocco” alla seconda parte della Scuola. Oppure si può scegliere una formula più flessibile scegliendo uno o più dei quattro moduli in cui essa è suddivisa. Per le modalità di iscrizione consultare il sito www.scuoladiculturapolitica.it

BIZZARRIE E STUPIDITÀ DEGLI ALGORITMI

In questi giorni abbiamo ripetutamente proposto a Facebook un banner promozionale di quattro lezioni di studio e approfondimento sull’Islam che si svolgeranno in Casa della Cultura dall’11 al 13 dicembre. Ma tutte le nostre proposte sono implacabilmente respinte dai severissimi algoritmi che sovrintendono al funzionamento di Facebook.

Notiamo bene: proponiamo di discutere dell’Islam come questione globale. E ne discuteremo con Fethi Beslama, il celebre psicanalista francese che per primo, dieci anni fa, con un famoso pamphlet, ha invitato i suoi correligionari a smontare il paradigma Islam uguale a sottomissione. Parleremo poi di donne nelle società islamiche con Leila El Houssi, di giovani arabi con Renata Pepicelli e daremo la parola a due studiosi del mondo arabo come Paolo Branca e Massimo Campanini. Insomma, un’occasione straordinaria per approfondire, capire, ragionare.

Ma gli algoritmi non capiscono: trovano, evidentemente, qualche parola chiave disturbante e bocciano implacabilmente. Essi vagliano le proposte meccanicamente. Non sono in grado di capire il senso di una proposta, di valutare il diverso significato delle parole in un contesto o in un altro.

Questo episodio, in sé di modesta rilevanza, apre però squarci inquietanti sul ruolo crescente affidato agli algoritmi. Essi rischiano di introdurre meccanicità, cecità e ottusità nella vita pubblica. Essi possono spingere verso scenari di banale conformismo e di omologazione. Tutto il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno: apertura mentale, curiosità, spirito critico.

IDEE NUOVE NELLA GRANDE TRASFORMAZIONE

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Siamo arrivati al sesto anno della nostra ‘scuola ‘. Negli anni precedenti abbiamo scavato sui cambiamenti delle nostre società e analizzato le ragioni della ‘grande crisi ‘. Ora è il momento di discutere e proporre ‘idee nuove nella grande trasformazione ‘.

Il percorso formativo è suddiviso in due blocchi. Nella prima parte discuteremo del ‘mondo in movimento ‘: parleremo delle migrazioni di popoli, delle aree di crisi del pianeta, dell’Islam e del futuro dell’Europa. Nella seconda parte metteremo a fuoco ‘nuove idee e nuove scelte ‘: ragioneremo della democrazia, dell’equità, dello sviluppo e del civismo.

Ogni lezione è tenuta da docenti di grande prestigio e ad ogni lezione seguirà una discussione in plenaria. A richiesta dei corsisti verranno organizzati anche gruppi di studio.
Le modalità di iscrizione sono molto flessibili. Ci si può iscrivere a tutto il corso, a una delle due parti oppure a singoli moduli. Comunque, i costi di iscrizione sono rimasti inalterati, compreso il contributo dimezzato degli studenti e dei giovani fino a ventisei anni.

Il progetto è di grande qualità: aiutateci a farlo circolare e a farlo conoscere, inoltratelo ad amici e a conoscenti, soprattutto ai giovani. Per tutti sarà un’occasione straordinaria di crescita culturale e civile.

LA CASA DELLA CULTURA RIAPRE E PREPARA IL SUO ‘SETTANTESIMO’

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Da oggi riapre la Casa della Cultura. Con un programma di lavoro per il 2015 – 16 che si preannuncia particolarmente intenso e stimolante. Da oggi sono a disposizione sul sito tutti i programmi ‘tradizionali’ della nostra ripresa: la ‘scuola di cultura politica’, il seminario di filosofia, il ciclo ‘i dubbi dei non credenti’, la grande letteratura del Novecento.

Ma in cantiere vi sono tante altre cose. Ragioneremo, da metà ottobre, sulla metamorfosi del sistema culturale al tempo della ‘Rete e indagheremo le ‘nuove frontiere della scienza ‘ e, da gennaio, cominceremo a discutere delle ‘filosofie del cinema’.

Tutto questo convergerà nella riflessione sul nostro ‘settantesimo’. L’atto di inizio della Casa della Cultura risale esattamente al 16 marzo 1946, quando Ferruccio Parri, il comandante delle forze partigiane e primo Presidente del Consiglio del dopoguerra, tenne la prolusione inaugurale. Cercheremo di fare rivivere la straordinaria stagione culturale milanese del dopoguerra: ragioneremo assieme di quella ‘scuola milanese’, Banfi e i suoi allievi, che furono protagonisti in Casa della Cultura e a Milano fino ai primi anni Settanta. Ci proponiamo anche di proiettare nel futuro quella grande lezione: ecco perché stiamo predisponendo un ciclo su quel pensiero illuminista che ha dato il segno più profondo alla vita culturale di Milano e che a noi sembra contenere messaggi assai preziosi anche per l’oggi.

Insomma, un progetto straordinario di ‘ritorno al futuro’: far rivivere le nostre radici, il DNA della Casa della Cultura, per costruire una nuova enciclopedia critica della contemporaneità.

Ci attende un anno di lavoro di lavoro intenso, straordinario. Ci auguriamo di poterlo svolgere, come sempre, con il conforto dell’attenzione e della partecipazione di tanti amici.

Riapre la Scuola di Cultura politica

Smartweek intervista il Direttore Ferruccio Capelli

“Idee nuove nella grande trasformazione”. E’ questo il motto con cui il prossimo 15 ottobre riaprirà i battenti la Scuola di Cultura Politica, il polo umanistico della celebre Casa della Cultura di Milano, sita in via Borgogna 3, a pochi passi dal centro del capoluogo lombardo. Un’edizione, quella di quest’anno, che si preannuncia essere più che mai fresca e coinvolgente, sia per la novità dei temi trattati, sia per le modalità con cui si terranno gli incontri.

Di questo e di molto altro noi di Smartweek abbiamo parlato con Ferruccio Capelli, direttore della Casa della Cultura, che ci ha illustrato il programma del percorso formativo e ci ha raccontato lo spirito con cui l’associazione si appresta a dare inizio a una nuova edizione.

Direttore, ci spiega brevemente cos’è la Scuola di Cultura Politica?

E’ un’idea nata circa 6 anni fa. Dalle nostre discussioni emergeva sempre la stessa criticità: la mancanza di una vera cultura politica. Così ci siamo interrogati sul fatto di proporre una riorganizzazione di idee in un modo più organico e sistematico, per scalzare la politica del giorno per giorno, che stava diventando un problema. Per questo motivo abbiamo deciso di mettere in piedi questa scuola di formazione politica, che, anno dopo anno, sta diventando sempre più un’istituzione all’interno della Casa della Cultura. A chi vuole formarsi e informarsi sulle grandi questioni del mondo, noi forniamo gli strumenti adatti.

A chi si rivolge?

E’ rivolta ai cittadini, soprattutto ai giovani. Quando l’abbiamo creata, ci siamo chiesti cosa potessero pensare gli studenti e i ragazzi, che sono coloro che hanno davanti a sé il problema di dover riorganizzare una visione di quello che sta accadendo nel mondo. A parte questo, la Scuola è aperta a tutti, perché tutti i cittadini hanno il diritto e il dovere di partecipare alla vita pubblica, avere idee e strumenti per fare politica attiva. Molti dei nostri frequentatori sono diventati consiglieri comunali, sindaci o lavorano in associazioni. Noi cerchiamo di fornire gli strumenti per vivere da protagonisti la vita pubblica.

Cosa c’è di nuovo rispetto alle passate edizioni?

Ci sono grosse novità. Come avrete notato dal programma, abbiamo improntato lo sguardo verso il mondo e la geopolitica. Siamo convinti di dover andare a parare verso i temi di maggior attualità: migrazioni, Europa, ecc. Nella seconda parte del programma abbiamo voluto porre un forte accento sulle nuove idee e nuove scelte. Abbiamo lavorato così tanto sulla radice della crisi negli anni passati, che in questa edizione ci siamo sentiti in dovere di mettere al centro idee nuove per imboccare strade diverse. Due pilastri: il mondo e le nuove idee e le nuove scelte. Nel programma nulla è affidato al caso. Abbiamo ricevuto un buonissimo riscontro in termini di adesioni.

di Federico Ciapparoni. Pubblicato su Smartweek.it 

Astensionismo dilagante la grande questione

A quanto sembra ci si abitua a tutto, rapidamente. Anche ad un astensionismo record, che cresce ormai a due cifre ad ogni tornata elettorale. La prima volta accadde in occasione delle elezioni regionali siciliane: fu quella la prima occasione in cui, in un’elezione importante, si scivolò sotto la soglia del cinquanta per cento. Poi fu la volta dell’Emila Romagna: allora si toccò la soglia record del trentasette per cento dei votanti, o meglio del 63 (sessantatre!) %  di astensioni. Questa volta era nell’aria qualcosa di simile e infatti, puntualmente, la percentuale degli elettori si è fermata poco sopra il cinquanta per cento, il dieci per cento in meno rispetto alle precedenti regionali. Solo che, si sente dire, siccome era prevista, ormai non fa notizia e possiamo discutere d’altro.

Proviamo invece a ragionare seriamente. Si sente dire che l’astensionismo sarebbe fisiologico nelle democrazie mature, salvo poi non riuscire a motivare perché vi sarebbe proprio ora un’accelerazione perfino vertiginosa del fenomeno. A tutt’oggi nessuno ha osato argomentare che abbiamo improvvisamente raggiunto la maturità democratica: questo, almeno per il momento, ci è stato finora risparmiato.
Circolano altre motivazioni, indubbiamente più serie e più vicine al vero, quali il peso degli scandali a ripetizione e le divisioni interne alle varie formazioni o schieramenti politici. Ognuna di queste argomentazioni contiene una parte di verità, ma non esaurisce il problema.

Al fondo c’è qualcosa di più. Bisogna ragionare sul fatto che l’astensionismo dilaga non solo in Sicilia e in Calabria, realtà tradizionalmente con bassa affluenza elettorale, ma anche in Emilia, in Toscana, in Liguria e nelle Marche, in regioni dove non tantissimo tempo fa si recava alle urne oltre il novanta per cento degli elettori. Si astengono cittadini che prima erano orgogliosi di andare a votare: per loro il voto era un diritto e un dovere fondamentale. Se oggi questo elettorato non partecipa al voto significa che questo elettorato non si trova più rappresentato nel sistema politico.
Si tratta di una crisi grave nella nostra democrazia. Rappresentanza politica e mondi sociali non riescono più a incontrarsi, sono disallineati, si muovono su logiche non convergenti. Detto altrimenti, un pezzo grande di società non trova più propri rappresentanti nel sistema politico.

Tanti fattori, probabilmente, confluiscono qui: la caduta delle narrazioni e lo svuotamento delle identificazioni simboliche, l’assenza di chiare e profonde distinzioni tra i protagonisti politici, la cacofonia dei linguaggi pubblici sempre più urlati ma anche sempre più uguali tra di loro, l’intasamento o lo smantellamento dei canali di scorrimento tra i partiti e i corpi intermedi, la confusione e la casualità dei programmi e delle scelte ecc. Tutti fatti noti, sviluppatisi e aggravatisi in un lungo periodo di tempo, i quali, però, assommandosi e intrecciandosi gli uni agli altri, a questo punto provocano l’implosione del nostro sistema politico. Esso oggi è gravemente azzoppato: difficile pensare che in queste condizioni possa avere l’autorevolezza per impostare e affrontare le impegnative scelte che sarebbero necessarie per rimettere in movimento il paese.

Ultima considerazione, last but not least: questa crisi non tocca solo una parte del sistema politico. Essa colpisce a destra e a sinistra.  Detto altrimenti un pezzo grande della destra e un pezzo grande della sinistra non si trovano più rappresentati nel sistema politico. Il problema non si preannuncia di facile soluzione: proviamo almeno ad impostarlo con chiarezza.

Un filosofo in casa della cultura

Mercoledì prossimo, il 27 maggio, alle ore 18 ci stringeremo attorno a Fulvio Papi. Vogliamo festeggiare con lui il suo ottantacinquesimo compleanno e ringraziarlo per il lungo, ininterrotto e generoso impegno pubblico, culturale e civile.
La sua vita, lunga e intensa, si è intrecciata profondamente con quella della Casa della Cultura. Egli è stato allievo di Antonio Banfi, del grande filosofo che ha fondato questa istituzione e vi ha impresso un marchio indelebile: fu suo assistente all’Università e dopo la morte del maestro ha continuato con tenacia a valorizzarne il lascito culturale.
Fulvio Papi era ancora un ragazzo liceale quando mise piede in via Filodrammatici nella nostra prima sede. Da allora il suo rapporto con la Casa della Cultura non si è mai interrotto. Cominciò a collaborare prestissimo e, con il passare degli anni, è diventato un punto di riferimento dell’attività culturale di via Borgogna.
Negli ultimi trent’anni, raggiunta un’indiscussa autorevolezza culturale nel panorama filosofico italiano, ha animato ininterrottamente gli incontri filosofici in Casa della Cultura: per trent’anni ha curato e diretto un ‘seminario ‘ di incontri filosofici in cui si sono confrontati i più autorevoli studiosi italiani.
Ogni giorno, per tanti anni, il suo straordinario bagaglio di competenze culturali è stato a disposizione di chi ha frequentato e ha diretto la Casa della Cultura. Le conversazioni con Papi, i suoi consigli elargiti sempre con garbo, con discrezione e con generosità, hanno arricchito più generazioni di studiosi e di operatori culturali.
Oggi Fulvio Papi si avvicina agli ottantacinque anni. A noi tutti sembra giusto raccoglierci un attimo attorno a lui per manifestargli la nostra riconoscenza. Come è giusto fare nei confronti di una persona che riconosciamo come maestro per i suoi ‘oltre sessant’anni di impegno culturale e morale ‘.

70° della Resistenza: una celebrazione senza polemiche

Non c’è dubbio: si è trattato di una bella celebrazione del 70° della Resistenza. I media hanno dato spazio con molta generosità all’evento e la sfilata di Milano è stata una grande manifestazione popolare, ridondante di voci diverse. I giornali hanno dedicato al settantesimo ampi servizi: il Corriere ha perfino proposto un’intera collana di testi letterari della Resistenza. Le televisioni, pubbliche e private, non sono state da meno: anche Mediaset si è unita al coro e perfino Paolo Del Debbio ha dedicato alla Resistenza un’intera serata su Rete Quattro.

Qualcuno ha già notato la differenza di clima rispetto a una decina di anni fa. Allora erano fresche di stampa le pagine dell’indecente libro di Gian Paolo Pansa ‘Il sangue dei vinti ‘ e vi era l’eco della sorprendente difesa della Repubblica di Salò da parte di uno storico come Vivarelli. Galli della Loggia dalle colonne del Corriere non si stancava di indicare nella sopravvalutazione della Resistenza la menzogna originaria della Repubblica. Le televisioni raccontavano un’altra storia rispetto a quella ascoltata in questi giorni: abbondavano di interviste ai reduci di Salò. Tante voci, con asprezza polemica, rivendicavano l’equiparazione tra partigiani e repubblichini.

La svolta è rilevante. Potremmo ipotizzare, riprendendo il titolo di un impegnativo appuntamento che avevamo costruito in Casa della Cultura in quegli anni, che si è riusciti davvero a ‘revisionare il revisionismo ‘. Probabilmente il lavoro incessante degli storici, le nuove ricerche, gli ultimi studi usciti, le tante discussioni hanno prodotto qualche effetto. Il carattere a un tempo plurale e unitario della Resistenza italiana, la sua nobiltà che sovrasta le inesorabili brutture è finalmente chiara a tutti. E’ arrivato il momento, ci dicono queste giornate, di ragionare serenamente dell’importanza della Resistenza nella fondazione e nella storia della nostra Repubblica.

Si potrebbe però avanzare anche un’altra ipotesi. Ovvero che una decina di anni fa la destra italiana aveva raggiunto l’apice del potere: al governo erano saldamente installate forze di destra indifferenti alla Resistenza e altre che non disdegnavano la rivendicazione di un filo diretto con il fascismo. Tutto congiurava a dare forza a un diffuso e aggressivo ‘anti – antifascismo’: la pubblicistica e i media non facevano altro che assecondare il clima politico e culturale del momento. Ora la destra è in grave crisi: le sue formazioni principali sono a rischio di sfaldamento oppure si stanno riorganizzando e ridefinendo. La molla fondamentale della virulenta campagna revisionista, ovvero la legittimazione della destra, è in questo momento ridimensionata o perfino evaporata.

Forse si potrebbe avanzare anche una terza ipotesi, ovvero che la spinta polemica si sia disinnescata a seguito dello smottamento politico e culturale della sinistra, in primis di quella ex comunista estromessa in pochi mesi quasi senza colpo ferire da ogni ruolo di direzione del paese. Alla fin fine la virulenza polemica contro la Resistenza era intimamente legata alla orgogliosa rivendicazione dei valori antifascisti da parte delle sinistre e alla loro intransigente impegno a difesa della carta costituzionale.  Nei prossimi giorni, senza proclamazioni altisonanti, si trasformerà di fatto la forma di governo introducendo un inedito e radicale presidenzialismo. In questa situazione è abbastanza evidente che la furia polemica revisionista sia svigorita alle radici.

Con ogni probabilità ognuna di queste tre ipotesi contiene qualche verità. A tutti noi, abituati ormai a ragionare con disincanto su tutte le vicende del nostro paese, restano comunque il piacere di una celebrazione senza stonature revisioniste e i suoni e i colori con cui anche in questo 25 aprile si sono manifestati i mille toni di speranza e di inquietudine del nostro antifascismo.